L’azienda della Regione Calabria accusata di aver fatto ‘sparire’ i fondi destinati ai mezzi antincendio pare non collabori con la Protezione Civile e non abbia mai accolto le richieste per ospitare i senzatetto
COSENZA – Vivono in un container di fronte ad un palazzone vuoto. Non hanno acqua calda e usano dei bagni all’aperto. Si tratta delle due famiglie, sei persone, ospitate in un cassone di metallo allestito per l’emergenza freddo nel quartiere Far West di via degli Stadi. Nonostante le pressioni che Padre Fedele pare abbia più volte esercitato sull’Afor e Calabria Verde, per chiedere di utilizzare qualche stanza dello stabile di fatto inutilizzato, non è stato possibile trovare una soluzione migliore. Eppure il noto frate francescano cosentino avrebbe anche proposto di terminare i lavori nella parte della struttura che si presenta ad oggi come uno scheletro di calcestruzzo. Nulla da fare. I senzatetto devono vivere nel container. Non importa se nel cortile in cui abitano c’è una scuola, un palazzone vuoto con solo un paio di uffici di Calabria Verde operativi con sette dipendenti in tutto (quasi quanti i dirigenti indagati per la distrazione di fondi) e uno stabile da ultimare. La giustificazione ufficiosa sarebbe che, prima o poi, Calabria Verde che ha acquisito tutti gli immobili e i dipendenti dell’Afor, dovrà trasferire lì alcuni lavoratori di cui ad oggi non vi è neanche l’ombra.
Così paradossalmente sono gli impiegati, che di tanto in tanto, prestano loro acqua calda e ospitalità per lavare i bimbi. Il commissario straordinario Afor nonché direttore generale di Calabria Verde Alosio Mariggiò però non ha tempo per rendere note le ragioni di questa scelta e di chi pagherà il debito dell’ex azienda di forestazione regionale (200 milioni di euro oltre a cifre ancora non quantificate). ”E’ in riunione” affermano da una settimana dalla sua segreteria. L’irreperibilità dei vertici di Calabria Verde è nota anche alla Protezione Civile. E’ lo stesso Carlo Tansi, capo della Protezione Civile calabrese, a spiegare di non essere riuscito “ad avere alcun tipo di collaborazione da Calabria Verde in situazioni d’emergenza, come alluvioni, frane, crolli. Non abbiamo avuto nessun riscontro e nessun tipo di supporto nonostante le numerose richieste. Gli abbiamo dato una sede, delle ricetrasmittenti, 60 mezzi tra autobotti e fuoristrada, ma nulla”. Briciole in confronto ai milioni di euro su cui la Guardia di Finanza di Catanzaro ha acceso i riflettori per capire come siano stati spesi.
Due sono infatti le inchieste che riguardano Calabria Verde società in house della Regione Calabria, nata nel 2014, con 7mila dipendenti che la magistratura sospetta siano stati spesso utilizzati per procacciare voti. Le indagini riguardano incarichi, appalti milionari su cui vengono ipotizzati i reati di peculato e distrazione di fondi europei. Nel primo procedimento appaiono l’ex direttore generale Paolo Furgiuele, il dirigente di settore Alfredo Allevato (noto per aver usato gli operai di Calabria Verde per ristrutturare casa propria a Cosenza), il dirigente dell’economato Marco Mellace, l’ex dirigente Antonio Errigo, l’agrotecnico Gennarino Magnone e l’impiegato Emanuele Ciciarello accusati a vario titolo di abuso d’ufficio, minaccia a pubblico ufficiale, peculato e falsità ideologica. Sarebbero stati loro per la pubblica accusa a far ‘sparire’ gli 80 milioni di euro di finanziamenti europei destinati ai mezzi antincendio e alla messa in sicurezza di fiumi e torrenti. L’altro filone investigativo coordinato dalla Procura di Castrovillari riguarda invece le responsabilità della politica nella ‘tragedia’ che ha portato allo sperpero di denaro pubblico ai danni della collettività e del territorio. Politici che sembrerebbe fornissero un ‘listino’ di nominativi per ‘regalare’ posti di lavoro, ma non alloggi per i senzatetto. Per loro c’è solo il container dal quale possono ammirare il palazzone vuoto di Calabria Verde.
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