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Padre Fedele, il frate che urlava “Forza Lupi”: mi ha donato un raggio di luce in un giorno di dolore

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Padre Fedele, il frate che urlava “Forza Lupi”: mi ha donato un raggio di luce in un giorno di dolore

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COSENZA – Padre Fedele Bisceglia non è mai stato un frate o un religioso come gli altri. O almeno io l’ho sempre percepito così. In questo giorno dedicato all’ultimo saluto, in cui la città di Cosenza è in lutto per la scomparsa del ‘frate ultrà’, condivido un mio piccolo personale ricordo, di quello che è stato un personaggio grande e divisivo, travolto negli anni da vicende giudiziarie complesse, una figura carismatica, un religioso fuori dagli schemi, capace di parlare al cuore delle persone, di accogliere e donare.

E lo faceva con gesti semplici, in mezzo alla strada, tra la gente. Lo ricordo seduto lungo corso Mazzini, accanto ad una scatola e ad un manifesto che invitava i cosentini e i passanti a donare. Raccoglieva instancabilmente offerte per l’Africa, per i bisognosi, portando avanti le sue missioni e la sua idea di una Chiesa povera, caritatevole, fatta di mani tese. Mi ha sempre dato l’impressione di una persona carica di umanità, sincera, autentica, irriverente, che osservava la religione nella sua essenza: aiutare, donare all’altro. Per lui gli ultimi erano i primi.

Quando ero una ragazzina lo vedevo quasi ogni giorno su Corso Mazzini, con il suo saio, i sandali, anche in giornate gelide. Un giorno, qualche anno fa, passeggiavo, pensierosa, un pò triste, sola in mezzo a tanta gente. Lo ritrovai lì. Mi fermai, lo salutai: “Ciao Padre Fede’, come stai?“. Mi sembrava un pò affaticato, ed era un giorno in cui sentivo forte una mancanza, quella di mia madre. Lui se ne accorse subito perchè i miei occhi erano lucidi. Mi disse dopo aver risposto al mio saluto con un sorriso: «Tutto quello che soffriamo e ci sembra buio, diventerà luce». Un incontro di pochi minuti, che è servito a farmi capire quanto era capace di comprendere e di accogliere. Le sue parole furono una piccola carezza per quel dolore che avevo dentro.

Padre Fedele era così, un uomo buono ma anche dirompente, e ricordo quando ero piccola di aver assistito ad alcune delle sue celebrazioni. A fine messa, dava la benedizione con un “Forza Lupi!” e io sorridevo. Chi frequentava lo stadio lo trovava sugli spalti. In quegli anni, io ero poco più che una bambina e ogni tanto la domenica andavo al San Vito con il mio papà. Ricordo che ascoltavo i cori per sostenere il Cosenza intonati dai tifosi; erano corposi, precisi e intensi. E poi c’era quel frate con la sciarpa rossoblù e il megafono: un trascinatore speciale. «Papà – chiesi la prima volta che lo vidi – ma chi è quel signore con il  saio, la sciarpa e il megafono?». Mio padre mi rispose: «È Padre Fedele, il capoultrà del Cosenza». Un religioso che amava il calcio e soprattutto era vicino ai tifosi, ai tanti ragazzi che seguivano i Lupi, come un padre con i suoi figli. E Padre Fedele per alcuni è stato un padre davvero. Ha trasmesso loro il senso di comunione, di generosità, di altruismo.

Ha vissuto tra le pieghe di quella che si può definire la ‘santità popolare’ ed ha attraversato il clamore mediatico di chi gli ha gettato fango addosso, uscendone a testa alta, ma mai veramente ‘risarcito’. Dalla fondazione dell’Oasi Francescana alla clamorosa accusa che nel 2006 gli segnò la vita, fino alla sua battaglia personale per dimostrare la propria innocenza. Ma mai ha abbandonato la sua dedizione verso gli ultimi. Chi lo ha conosciuto da vicino, lo descrive come un uomo capace di vedere oltre, di confortare con una parola e di aiutare con concretezza.

Quando Padre Fedele ci ha aperto il “Paradiso dei poveri”

Qualche anno fa, era il 2022, la redazione di Quicosenza è entrata nel Paradiso dei Poveri, a Timpone degli Ulivi a Donnici, per incontrarlo, per raccontare Francesco Bisceglia, Padre Fedele e quella sua vita intensa, fatta di amore per i poveri e per il suo Cosenza, marchiata a fuoco però, anche da una grande sofferenza che lui definì “la calunnia”. Ci sedemmo l’uno di fronte all’altra e, tra risate e ricordi, anche dolorosi, mi colpì molto il racconto sulla sua famiglia; perché tutti siamo il frutto della nostra crescita, siamo quei bambini diventati adulti. Lui era il primo di 4 figli. A 6 anni ha perso la donna più importante della sua vita, la madre Anna, morta a soli 32 anni. Quando raccontò di ricordare perfettamente l’ultimo bacio che le diede prima di morire, inevitabilmente mi riportò alla mia stessa perdita. Quell’intervista mi lasciò un senso di ricchezza inspiegabile.

Di Padre Fedele mi colpì il suo amore per la povertà. Nel suo racconto ci disse: “quando ero più giovane mi chiedevano spesso quali fossero i miei desideri ed io rispondevo: “portare il Cosenza in Serie A e morire tra i lebbrosi”. Oggi Padre Fedele è morto qui, nella sua città, circondato da chi lo ha amato e sostenuto ma in parte anche tradito. Lo immaginiamo tutti intonare “Maracanà, Maracanà… forza Cosenza alè alè”, forse ancora sentiamo la sua voce. I poveri e il pallone, e poi la ferita, il tradimento, la calunnia e quel desiderio di poter tornare a celebrare messa. Uno strascico penoso e ingiusto che nessuno è riuscito a  sanare fino alla fine dei suoi giorni. Io ti ricorderò sempre con quel sorriso e quella voglia di dare tutto a chi non ha nulla. Riposa in pace, ciao Padre Fedè!

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