Fedele a se stesso: i poveri, il Cosenza e la calunnia «il Signore ha vinto la partita»

L'intervista esclusiva a Padre Fedele Bisceglia. Il 'monaco' come non l'avete mai sentito. Un racconto carico di ricordi, dolore, emozioni. In un giorno d'estate, affacciati dal Paradiso dei Poveri, abbiamo respirato il suo amore per la povertà e per i colori rossoblu: "io, venduto all'interno della Chiesa"

COSENZA – La sciarpa rossoblu al collo, il megafono, il saio, i sandali, e la mano sempre pronta a praticare la carità. Francesco Bisceglia, Padre Fedele, compirà 85 anni il prossimo 6 novembre. Una vita intensa, fatta di amore per i poveri e per il suo Cosenza, marchiata a fuoco però, anche da una grande sofferenza: un’accusa infamante e un processo durato oltre 10 anni, incentrato su quella che lui definisce “la calunnia“.

Nonostante la sua innocenza, la Chiesa non gli ha ancora restituito la possibilità di tornare a celebrare la messa e questo è uno dei suoi dolori più grandi. Affacciato al balconcino del “Paradiso dei Poveri”, struttura realizzata nel periodo più nero della sua vita, in località Timpone degli Ulivi, dal quale si vede la Sila e si respira serenità, ‘il monaco’ si racconta in maniera inedita, e tra un sorriso e un ricordo, ripercorre la sua vita da missionario e tifoso.

“Se mia madre non fosse morta, io non sarei sacerdote”

«Sono nato a Laurignano e sono il primo di quattro figli: tre fratelli e una sorella. A 6 anni ho vissuto l’immensa sfortuna di perdere la donna più importante della mia vita, mia madre Anna, morta a soli 32 anni. Non ho molti ricordi di lei, ma ho impresso perfettamente l’ultimo bacio che le ho dato prima di morire. Era una donna brillante, molto religiosa, amante dei poveri e questa mia vocazione credo sia iniziata proprio nel grembo di mia madre. Ricordo che la mattina presto si recava a messa e subito dopo la comunione usciva dalla Chiesa senza neanche attendere la benedizione, con la ‘particola’ ancora in bocca. Tornava a casa per donarci l’ostia consacrata e rendere partecipi i suoi figli della presenza di Cristo. Un gesto questo, che mi ha sempre commosso».

“Il Signore a volte ci dà cose negative per trovarne di positive”

«La mia vocazione sacerdotale la devo a mia madre. Da piccolo infatti, ero un birbantello e la ‘chiamata’ l’ho sentita quando ancora non avevo la possibilità di rispondere. Mio padre rimasto solo era preoccupato perchè io ero sempre sulla strada e così decise di mandarmi in seminario. Quando parlai con il provinciale, padre Giovanni da Bucita, egli mi chiese se volessi trasferirmi ad Acri, in convento. Io risposi con una domanda secca: “ma si gioca a pallone?”. A conferma di questo, sono entrato in convento e il Signore ha vinto la partita». «Perchè “Fedele“? Avrei dovuto scegliere tra Fedele e Felice e mio nonno all’epoca mi disse “meglio Fedele, perchè Felice, lo sei di natura”».

«Andavo bene a scuola, studiavo – racconta Padre Fedele – ed ero molto bravo nelle materie letterarie. Da qui, spiccai il volo per il noviziato e mio padre lo ricordo molto orgoglioso della mia vocazione. Nel tempo mi sono laureato in Teologia, Lettere e Filosofia e Medicina e Chirurgia con 4 specializzazioni tra cui l’ulcera del Buruli; una malattia ulcerosa della pelle che ho molto approfondito. Da qui la mia dedizione verso i lebbrosi».

“La povertà è la vera ricchezza, perchè ti riempie l’anima”

«Ho molto amato la parte della mia vita come medico missionario – racconta – quando abbracciavo i lebbrosi. Ho avuto la fortuna di conoscere Raoul Follereau (scomparso nel 1977), chiamato “l’apostolo dei lebbrosi”. Ho letto tanti suoi libri e quando sono andato in Africa, ho fatto alcune tra le esperienze più belle e significative della mia vita: prendevo i lebbrosi senza guanti, li abbracciavo, non avevo paura e loro avvertivano la mia vicinanza ed erano molto attaccati a me. Se dovessi definirmi, direi che sono un’amante di Cristo e dei poveri. Quando ero più giovane mi chiedevano spesso quali fossero i miei desideri ed io rispondevo: “portare il Cosenza in Serie A e morire tra i lebbrosi”.

Il rapporto con gli ultras “non ho predicato Gesù Cristo, io l’ho praticato”

Nel suo immenso amore per i colori del Cosenza, Padre Fedele ha trascinato tantissimi ragazzi: «sono venuti con me, mi hanno seguito dovunque, e non li portavo mica in hotel; dormivamo per terra, abbiamo mangiato con le mani e loro hanno visto, partecipato e dato una mano. Hanno seguito questo “strano sacerdote” amante del Vangelo».

«Quando gli ultrà che hanno avuto a che fare con me, dicono di essere atei, non gli credete: chi crede opera, loro hanno operato e molti continuano a farlo. Il cristiano che ama i poveri e dice di essere ateo, racconta una bugia. “Amate il prossimo come voi stessi , dice il Signore, e se farete questo sarete Santi”. Io non ho predicato Gesù Cristo con loro, ma l’ho praticato e loro mi hanno seguito».

“Maracanà, Maracanà… forza Cosenza alè alè”

I poveri e il pallone. Due punti fermi che da sempre caratterizzano la figura di Padre Fedele, il sacerdote che partiva per l’Africa e che allo stesso tempo, inneggiava il Cosenza con il megafono sugli spalti del San Vito dove, racconta lui stesso, era di casa: «facevo allenamento con la squadra (parlo di 40-50 anni fa) e me la sentivo – racconta con un sorriso. – Con Bergamini ad esempio, giocavamo ai rigori e il premio era un caffè. Facevo persino la doccia insieme alla squadra e mi sentivo parte di essa. Prima delle partite celebravo la messa e poi li caricavo, gli anticipavo cosa avrebbero fatto gli ultrà, le coreografie, i grandi striscioni fino a 50 metri di lunghezza. “Guagliù dovete vincere e non ci sono santi che tengano”». E quando gli chiediamo se oggi lo spirito dei ragazzi che vanno allo stadio è cambiato, risponde: «oggi manca l’amore, ma i tifosi non devono perdere la speranza di andare in Serie A».

Dalla calunnia all’assoluzione: “io, venduto all’interno della Chiesa”

Nel suo racconto scopriamo che Padre Fedele è anche scampato ad un agguato nel ’94. Era nella Repubblica Centrafricana dove aveva portato materiale e cibo, ma anche un pò di soldi raccolti grazie alle tante iniziative di solidarietà. Due persone lo bloccarono puntandogli le scimitarre alla gola e rubando circa 10 milioni.

Ma il suo più grande dolore è stato quello della “calunnia”. La mattina del 23 gennaio 2006, la Polizia lo arrestò nell’Oasi Francescana, la struttura che aveva costruito per aiutare e ospitare poveri, immigrati e persone bisognose. Una donna, suor Tania, lo aveva denunciato per violenze sessuali. Un’accusa infamante, un calvario giudiziario e umano culminato con la proclamazione della sua innocenza.

padre fedele

Qui il tono di Padre Fedele cambia, il suo viso fa trasparire i segni di quella dolorosissima vicenda: «E’ stata una cosa davvero brutta. Gesù Cristo è stato venduto da un apostolo, ed io sono stato venduto all’interno della Chiesa. Posso dire solo che è stata una storia che mi ha dato tante sofferenze e che si trascina perchè non posso ancora celebrare messa».

Uno strascico penoso e ingiusto che vede da anni Padre Fedele, chiedere di poter tornare a fare il sacerdote: «a settembre andrò dal vescovo per chiedergli “perchè?”. Questi sono gli strali pesanti della Chiesa e la causa non saprei spiegarla. Forse l’invidia, la gelosia… A tutto quello che mi è successo però, ho risposto con quest’opera (e la sua mano indica il Paradiso dei Poveri). Non poter celebrare in pubblico e parlare alle persone, per me è una tragedia, ma conservo la speranza. Al vescovo dirò: ricordati che devi dare conto a Dio, perchè tu sai che sono innocente».

padre fedele

Suor Tania, la calunnia e i “Giuda”: «Forse hanno visto in me una persona da combattere perchè sei un sacerdote povero e fai tutto per i poveri, dai fastidio a chi invece è attaccato ai soldi». E di persone che gli hanno voltato le spalle ce ne sono state tante così come quelle però, che non lo hanno mai abbandonato: «tra queste voglio ringraziare un grande amico e sacerdote, don Fausto Cardamone; una persona che ha le mie stesse idee e che mi è stata vicina anche praticamente».

L’Oasi francescana, il Paradiso dei Poveri e il “vizio” di fare del bene

«Vedere l’Oasi per me oggi, è comunque una gioia, perchè l’hanno costruita i cosentini ed è qualcosa che parlerà nei secoli. Questa struttura invece, è stata costruita nel periodo di sofferenza ed è qualcosa di bellissimo. Qui possono dormire fino a 100 bambini, ci sono tanti spazi e c’è addirittura chi vorrebbe sposarsi nel Paradiso dei Poveri. Insomma, il vizio di fare del bene non riesco a togliermelo». E quel vizio d’amore vedrà nuovamente, il 2 gennaio prossimo, Padre Fedele partire alla volta del Madagascar. 

 

 

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