Uccide il padre, in carcere chiede di iscriversi all’università per dare un futuro migliore ai familiari

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Il parricidio cui processo è ancora alle battute iniziali si è consumato a Rossano nel novembre del 2017. Il ventiseienne avrebbe reagito alle continue vessazioni che era costretto a subire da anni

 

CORIGLIANO ROSSANO (CS) – Ha preso il via dinanzi alla Corte di Assise di Cosenza, con una richiesta preliminare avanzata dall’avvocato difensore Ettore Zagarese, il processo per parricidio che vede imputato il giovane rossanese Alessandro Manzi, 26enne, accusato di aver ucciso il padre Mario, 50enne, nel novembre 2017 all’interno di un’abitazione degli alloggi popolari di viale Sant’Angelo a Rossano. Il legale della difesa, ribadendo come il proprio assistito, immediatamente dopo il gesto, si sia assunto le proprie responsabilità recandosi volontariamente presso la Caserma dei Carabinieri di Rossano a denunciare l’accaduto, ha chiesto che il processo venga definito con le forme del rito abbreviato condizionato all’esame di alcuni testi. La decisione della Corte sarà depositata alla prossima udienza fissata per lunedì 22 ottobre. L’importanza dell’audizione degli informatori, ha evidenziato il penalista, si rende necessaria per illustrare a chi giudica le gravi ragioni che hanno armato la mano del giovane Manzi innescando in lui uno stato di estrema disperazione che lo ha indotto ad un gesto così grave. Notoria era infatti la condizione di grave pressione e sudditanza alla quale il genitore del 26enne sottoponeva il proprio nucleo familiare, con vessazioni e maltrattamenti quotidiani.

 

 

Al giovane, inoltre, sarebbe finanche stato impedito di proseguire gli studi nonostante avesse conseguito il diploma e ambisse a frequentare l’università. Gli sarebbe anche stato impedito di frequentare i propri compagni di classe in quanto ritenuti troppo “mollaccioni”. Per queste ragioni, qualche giorno prima dell’omicidio, il giovane Alessandro sarebbe stato allontanato da casa con l’ordine ai familiari di non rivolgergli la parola. Proprio al fine di delineare meglio tali dinamiche, sono stati indicati quali testi alcuni soggetti che da sempre operano nel sociale e che, in tali vesti, hanno avuto modo di interfacciarsi con il nucleo familiare. Indicata quale teste anche la dottoressa Figoli, psicologa, che su autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari ha avuto numerosi colloqui e che dovrà esprimere il proprio motivato parere sulle cause che hanno determinato l’azione omicidiaria. Nel frattempo, il giovane Manzi anche dall’interno del carcere non ha perso la speranza di avere un futuro migliore per sé, per la madre e per i suoi fratellini, avanzando anche la richiesta di iscrizione ad una facoltà universitaria al fine di potersi affrancare dall’ambiente in cui è cresciuto.

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