COSENZA – Discriminazione in ambito sanitario. Il termine può apparire “forte” visto il riferimento a una sfera così delicata e cruciale. Tuttavia, aiuta a rendersi conto che il passo verso fenomeni discriminatori, che generano disuguaglianze inaccettabili quando si tratta di persone malate, è breve. “Voglio raccontare quanto mi è accaduto, perché mi sono sentita umiliata”. Con queste parole la signora Anna, chiama la nostra redazione, profondamente provata dalla “disavventura” al Cup di Cosenza.
“La mia dottoressa ha richiesto, per mio figlio, una visita ematologica urgente. Così – racconta Anna – senza perdere tempo (che in questi casi è prezioso n.d.r.) sono andata al Cup dell’Annunziata per la prenotazione. Dopo un po’ di fila, arrivo allo sportello”. La signora fa presente all’operatore che la visita prescritta è stata richiesta con urgenza e che, tra l’altro, gode dell’esenzione. “Il tizio” – così viene definito da Anna (capirete a breve il perché) – le comunica che non c’è possibilità, con l’esenzione, di avere una visita nell’immediato ma, è possibile prenotarsi intramoenia. Insomma pagando il posto c’è. A quel punto la donna decide, vista l’urgenza, di prenotare e pagare.
“Inizia l’umiliazione”
“Percepisco il reddito di cittadinanza – ci dice Anna – solitamente l’accredito è sempre puntuale e quindi non mi sono preoccupata di andare a controllare il saldo prima di usare la carta. La visita aveva il costo di 102 euro ma ‘il tizio’, sulla scheda ne ha trovati solo 75. A quel punto inizia la mia umiliazione.
‘Non solo percepite il reddito di cittadinanza, ma fate perdere pure tempo’ e ancora ‘su questa carta non avete soldi, non vi prenoto niente’. Il suo tono era alto, dispregiativo e incurante del fatto che ci trovavamo in un posto pubblico con tanta altra gente. Ho fatto quasi difficoltà a ribattere – spiega con affanno Anna-. Ho chiesto, sempre al ‘tizio’, di non farmi perdere l’appuntamento ma di attendere qualche altro minuto, giusto il tempo di prendere la restante parte dei soldi in macchina da mio marito. Ma nulla”.
“Maria è venuta in mio soccorso”
La sala era gremita di gente, testimoni del fatto. Anna era in difficoltà, in un disagio palpabile. Ma non era sola. Una signora di nome Maria si avvicina allo sportello: “pago io per lei. Le prenoti la visita”. La donna estrae dalla borsa i soldi che mancavano. Il “tizio”, senza esitazione, li prende e le prenota la visita.
“L’ho ringraziata svariate volte e le ho chiesto – continua Anna – di avere un suo recapito, una via o un luogo dove poterle inviare la somma che mi ha generosamente prestato. Ma, non ha voluto: ‘ho fatto un’opera di bene e l’ho fatto con il cuore non mi deve nulla, le auguro solo tante cose belle’. Mi ha risposto Maria”. Amarezza, delusione e rabbia. Sentimenti che Anna continua ancora oggi a provare “perché non è giusto. Non è stato giusto il modo in cui sono stata trattata. Come se fossi una pezzente. Qual è la mia colpa? Vivere in una Regione dove la sanità è al collasso?. L’unico aspetto positivo e che mi ha profondamente stupita è stata la generosità di Maria che, ‘per caso’ oppure no, porta il nome della Madonna“.
Diritto alla salute: un lusso
Una testimonianza che fa riflettere. È così che si costruisce la discriminazione. Questo è un evidente caso di un sistema amministrativo non efficace. Il diritto all’accesso alle cure non può essere un lusso. Dalla storia di Anna se ne esce sconfitta l’intera società, anche quella sana ed agiata che non ha difficoltà a curarsi. Spesso per una persona vulnerabile, che vive uno stato emotivo e di vita difficile anche andare al Cup, o trovare documenti sanitari per accedere alle cure è un ostacolo grande.
Anna ha trovato Maria ma in molti, forse troppi casi, la gente non ha la forza economica di far valere il proprio diritto alle cure. Se i soldi non fanno la felicità non dovrebbero fare nemmeno la salute.