COSENZA – A tradirlo è stato l’affetto per il proprio figlioletto e la voglia di stringerlo tra le sue braccia.
Un sentimento che è costato caro al quarantenne Daniele Lamanna arrestato ieri sera in una palazzina di Trenta nelle disponibilità del suocero. Un rifugio di passaggio, in cui è stato scovato dagli agenti della Questura di Cosenza a seguito di un lavoro certosino che ha portato negli ultimi mesi a studiare, nel dettaglio, ogni singolo movimento dei familiari del ricercato. Sono stati infatti gli spostamenti inconsueti della compagna ad insospettire gli investigatori i quali nei giorni scorsi avrebbero notato la donna, intorno alle 20 di Domenca, uscire da casa della madre incappucciata e salire in macchina con il padre senza neanche poggiare nel bagagliaio il borsone che portava con sè. Una fretta insolita per una cena domenicale. La vettura sarebbe poi scomparsa a Saporito per poi riapparire nuovamente in città nel punto di partenza.
Una cugina della compagna di Lamanna che vive a Saporito sarebbe poi stata intercettata a Trenta con la propria autovettura nel cortile di uno stabile. Lo stesso stabile, in apparenza abbandonato, in cui per un paio di giorni gli agenti hanno notato parcheggiata l’auto di proprietà del suocero del latitante. I viaggi a Trenta della parente e del pensionato hanno fatto drizzare le antenne della Squadra Mobile che hanno sin da subito ipotizzato che l’uomo avesse portato con sè il piccolo di nove anni per fargli incontrare il padre. Una visita che era ormai giunta al termine. Avevano già i giubotti in mano pronti per tornare a casa il suocero e il figlio di Lamanna, quando la polizia ha fatto irruzione nell’appartamento. Un ultimo saluto, poi le manette.
Daniele Lamanna era quasi irriconoscibile. Barba lunga e volto segnato dalle rughe, pare stesse temendo per la propria vita. Nella tasca della giacca che aveva indosso un revolver 7.65, lo stesso calibro della pistola che s’inceppò nel momento in cui sparò contro Luca Bruni tra le campagne di Orto Matera, pronto per l’uso con un colpo già in canna. Sul comò altre 36 cartucce. Secondo i rilievi degli inquirenti pare siano in corso dei contrasti interni al clan Rango – Zingari. Problemi di cui, ancora, neanche il pentito Foggetti ha parlato, ma che hanno reso ancora più insonni le notti del latitante, ritenuto sino ad oggi il reggente della cosca egemone nell’hinterland cosentino nell’ambito delle estorsioni e del narcotraffico.
Lui che insieme ai sodali del clan Bruni è subito migrato nella ‘ndrina con potenti ramificazioni nell’area di Cassano allo Jonio, dopo aver voltato le spalle, uccidendolo, al suo boss Luca Bruni potrebbe aver pensato di poter subire lo stesso destino. Per questa ragione, forse, avrebbe meditato di comprare un saio e travestirsi da frate per continuare la propria latitanza lontano da occhi indiscreti. Per quattro mesi il quarantenne pare si sia spostato da una città all’altra per far perdere le proprie tracce e fino a poco tempo fa pare fosse stato ospitato da alcuni sodali nella provincia di Lucca, in Versilia. I familiari invece avrebbero provveduto, settimanalmente, a ‘bonificare’ l’intero parco auto nelle proprie disponibilità per ripulirlo dalla presenza di cimici e microspie. Accortezze che però non hanno scongiurato l’arresto di Daniele Lamanna.