Area Urbana
Da Oliverio all’ultimo caso giudiziario di Marcello Manna: assoluzioni che fanno rumore e disorientano
COSENZA – Mario Oliverio, ex presidente della Regione Calabria, Marcello Manna, ex sindaco di Rende, oltre all’impegno politico, hanno in comune anche il fatto di essere stati assolti nelle rispettive vicende giudiziarie che li hanno visti coinvolti in processi legati alla ‘ndrangheta. Il primo, nell’inchiesta Lande Desolate, mentre nel caso di Marcello Manna, ultimo in ordine temporale, la sua vicenda giudiziaria è legata all’operazione “Reset”, l’imponente blitz coordinato dalla Dda di Catanzaro del 2022, che ha fatto emergere l’organizzazione di ‘ndrangheta confederata attiva a Cosenza e nell’hinterland. Proprio a seguito di quell’indagine, il Comune di Rende venne sciolto per infiltrazioni mafiose; una misura drastica che colpì non solo Manna, all’epoca anche presidente dell’Anci calabrese e a capo dell’Autorità idrica regionale accusato di presunti rapporti con clan mafiosi operanti tra Cosenza e Rende, ma tutta l’amministrazione comunale.
Tuttavia, con la sentenza emessa ieri, tutti gli amministratori coinvolti, compreso l’ex primo cittadino sono stati assolti. Questo ha fatto subito sorgere un interrogativo di fondo: se non sono stati dimostrati i reati che giustificavano lo scioglimento, quali sono state le ragioni effettive di quella misura così pesante? La vicenda non può che portare ad una serie di riflessioni importanti, anche perché l’assoluzione dell’ex sindaco di Rende, insieme a quella dell’ex presidente della Regione Mario Oliverio, non rappresentano casi isolati, ma riflettono una dicotomia complessa tra politica, antimafia e giustizia. Infatti, tornando indietro nel tempo, emergono situazioni simili che hanno coinvolto altri esponenti della politica calabrese come Sandro Principe, Gianluca Callipo, Agazio Loiero e Giuseppe Scopelliti solo per citarne alcuni.
Una serie di vicende giudiziarie che si intrecciano e si ripetono, sollevando interrogativi inquietanti e mai davvero affrontati. Altri potrebbero entrare a far parte di questa speciale “classifica”, come la vicenda giudiziaria che vede coinvolto il presidente della Regione, Roberto Occhiuto.
Ritornando all’assoluzione dell’ex sindaco di Rende, Marcello Manna, cosa significa tutto ciò? Lo scioglimento di un ente locale è certamente una misura drastica, adottata per tutelare la legalità e interrompere eventuali condizionamenti della criminalità organizzata sulle istituzioni. Tuttavia, quando dopo anni di indagini e processi emerge un verdetto di assoluzione per tutti gli amministratori coinvolti, viene da porsi una domanda inquietante: a cosa è servito lo scioglimento?
Tutto questo porta inevitabilmente ad una serie di riflessioni, per esempio sulla correttezza e la proporzionalità delle misure adottate, sulla tempistica e sull’efficacia degli strumenti preventivi. Se le prove sono insufficienti, come accaduto in questi casi, lo Stato rischia di colpire l’amministrazione pubblica, creando danni politici e amministrativi pesanti, senza un riscontro giudiziario definitivo. Così si alimenta inevitabilmente anche la sfiducia tra i cittadini che vedono da un latom, lo Stato impegnato nella lotta alla ‘ndrangheta, ma dall’altro percepiscono contraddizioni e incertezze che minano la credibilità delle istituzioni.
Forse è giunto il momento di aprire un dibattito serio e urgente, per esempio sulla cosiddetta “giustizia ad orologeria”, che spesso sembra agire con ritardi strani e inaccettabili, con indagini che si protraggono per anni, finendo in assoluzioni che rischiano di delegittimare l’intero sistema. Quanto di tutto ciò è dovuto a errori, superficialità o addirittura ad eccessi di protagonismo da parte di certi magistrati?
Il problema non è soltanto giudiziario, ma anche politico e sociale. Quando processi e misure preventive, come gli scioglimenti di enti locali per mafia, vengono demoliti da sentenze di assoluzione, inevitabilmente si crea quel cortocircuito che mina la credibilità dello Stato e lascia cittadini e amministratori disorientati. Il rischio è quello di generare una percezione diffusa di giustizia “ad intermittenza”, capace di colpire a caso o, peggio ancora, in modo politico. Non si tratta di mettere in discussione il lavoro della magistratura nel suo complesso, ma è doveroso chiedere trasparenza, efficienza e, soprattutto, responsabilità che devono riguardare anche chi guida le indagini e decide di avviare procedimenti pesanti, spesso con gravi ripercussioni sulla vita politica e amministrativa delle comunità.

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