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Omicidio Gioffrè a Cosenza. Chiesto l’ergastolo per Tiziana Mirabelli «ha ucciso per la bramosia di denaro»

Area Urbana

Omicidio Gioffrè a Cosenza. Chiesto l’ergastolo per Tiziana Mirabelli «ha ucciso per la bramosia di denaro»

Marco Garofalo

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COSENZA – Richiesta pesantissima per la Procura: «Condannare Tiziana Mirabelli all’ergastolo». Queste le richieste del PM Bianca Maria Bettini alla Corte d’Assise a Cosenza (Presidente Paola Lucente), sull’omicidio di Rocco Gioffrè, il 75enne trovato senza vita nella sua abitazione di via Montegrappa a Cosenza il 14 febbraio del 2023. L’anziano, originario di San Fili, venne ucciso con diverse coltellate nel suo appartamento. La donna, unica imputata, difesa dall’avvocato Cristian Cristiano, ha sempre ribadito con fermezza di essersi solo difesa da un tentativo di violenza sessuale sotto la minaccia di un coltello e che, al termine di una colluttazione, dopo essere riuscita ad impugnare il coltello, avrebbe colpito a morte il vicino di casa con diversi fendenti.

«Il movente che ha portato la Mirabelli ad uccidere il Gioffrè – ha detto la PM a  conclusione della requisitoria- sono i soldi per saldare un debito pregresso. Spinta dalla bramosia di denaro per saldare il debito, ha ucciso un uomo che l’aiutava, che le dava sempre soldi, che le pagava la luce. Ucciso per la rapina da un importo di appena 1.800 euro».

La Procura ha chiesto anche l’aggravante sia dei futili motivi che della crudeltà, reattivamente alle coltellate inferte quando l’uomo è già a terra con efferatezza. «Era lucida anche nei momenti successivi all’omicidio visto che ha avvolto il corpo spostandolo, ripulendo la scena del delitto e continuando a fare la vita di sempre, anche nel rapporto con i figli del Gioffrè. C’è l’intento omicidiario e non c’è mai stato pentimento di quanto fatto. Alla Mirabelli interessava solo la sua persona e quello che dicevano di lei dopo i tanti anni di volontariato». Anche la Parte civile che rappresenta la famiglia di Gioffrè – con l’avvocato Francesco Gelsomino – ha chiesto la condanna all’ergastolo.

La requisitoria del PM “le telecamere di videosorveglianza e le chat”

Durante la sua requisitoria il PM ha evidenziato tutte le contraddizioni rispetto a quanto ha sempre dichiarato dalla donna sull’omicidio, parlando di ricostruzioni fantasiose fatte dalla Mirabelli sulla legittima difesa, ma anche del rapporto che aveva con la vittima e dei soldi. L’ufficio di Procura ha ripercorso quanto accaduto quel 14 febbraio 2023 e nei giorni successivi, soprattutto da quanto acquisito dalle telecamere di videosorveglianza installate sia all’interno della casa di Gioffrè, che all’esterno del condomino di via Montegrappa. Per il PM quello tra Gioffrè e la Mirabelli era un rapporto di amicizia ma dai contorni sfumati e intimi «vi era un cercarsi reciproco anche di natura sessuale come hanno evidenziato le nuimerose chat che i due si scambiavano».

Per il PM ci sono dei dati oggettivi: le immagini della telecamera di videosorveglianza del Gioffrè, posizionata in modo frontale rispetto alla porta d’ingresso, che inquadrava il divano e la porta. Telecamera collegata allo smartphone del Gioffrè ma mai ritrovato. La PM spiega che quella mattina viene ripreso il Gioffrè mentre fa il letto e ripone un ascia sotto il cuscino. Poi con il volto coperto da schiuma da barba aprire la porta alla Mirabelli. E qui la PM evidenzia «non è vero per come dichiarato dall’imputata che la porta era aperta».

Gioffrè viene ripreso l’ultima volta uscire alle ore 6:26, chiudendo alle sue spalle la porta d’ingresso e la Mirabelli vi entra 20 minuti dopo. Il 19 febbraio verrà poi trovato senza vita nell’appartamento dell’imputata. Per il PM la Mirabelli entra in casa del Gioffrè dopo l’omicidio e vi rimane per due minuti «un tempo che sembra piccolo ma è invece lungo. È il tempo necessario per cercare i soldi e potersene appropriare e non per prendere una scatolina sopra la lavatrice dal bagno in una casa che conosceva benissimo».

Il PM la riletto tutte le chat  tra i due dichiarando la falsità di quanto dichiarato «è lei che cerca sempre il Gioffrè e non è vero che lo vedeva come un padre o che il rapporto si fosse deteriorato. Anche le figlie de Gioffrè descrivono un rapporto di piena complicità tra i due. Quanto dichiarato dalla donna sul rapporto con il Gioffrè non è credibile visto che andava persino a farsi la doccia a casa della vittima. Non c’è un solo messaggio nel quale il Gioffrè abbia mai minacciato Tiziana Mirabelli. Ci sono diversi messaggi nel quale la Mirabelli chiede soldi al Gioffrè».

Il coltello, le tracce di sangue e i soldi

Per quanto riguarda il coletto con cui è stato ucciso Gioffrè, non è mai stato trovato, ma la PM evidenza che in casa della Mirabelli è stato trovato un set di coltelli dove ne mancava uno. Quello mancante, per la PM, è compatibile con quello utilizzato per l’omicidio anche per come riportato dalle consulenze e darebbero anche compatibili con le lesioni alla Mirabelli. Sulle tracce di sangue sono state repertate quelle che consentivano di essere repertati biologicamente. «Se fosse stato ritrovato il coltello avremmo chiesto l’assoluzione. La Mirabelli non ha ucciso Gioffrè solo nella camera da letto, ma l’azione omicida è avvenuta anche nel corridoio, lo dicono le tracce ematiche rinvenute e gli schizzi di sangue. Parte dell’azione criminosa è avvenuta nel corridoio e questo non può essere messo in discussione. La Mirabelli è entrata in casa del Gioffrè con la mano insanguinata».

«La Mirabella lascia una traccia per trasferimento nella maniglia della sua porta e da gocciolamento in casa del Gioffrè. Ma non si può escludere che vi siano altre tracce visto che l’appartamento è stato abitato. Non si può escludere che la Mirabelli avesse una forma rudimentale di medicazione che potesse lasciare poche tracce». Sui soldi il PM ha spiegato che la Mirabelli sapeva benissimo dove si trovassero i soldi custoditi da Gioffrè». Nella requisitoria il PM ha spiegato che i versamenti fatti alla posta non erano per la gestione della giacenza media del conto, ma erano soldi che gli dava il Gioffrè.

“Non può essere stata legittima difesa. Poteva scappare”

Mirabelli ha sempre detto di essersi difesa da un aggressione e da un tentativo di violenza sessuale da parte del Gioffrè. Ma per il PM «l’azione omicidiaria è suddivisa in momenti che non possono rifarsi alla legittima difesa. Mirabelli ha sempre detto che aver colpito il Gioffrè con un pugno alla mandibola, ma non è così: il viso è tumefatto in diverse parti, ma si tratta dell’impatto avvenuto con il pavimento. Nel racconto fantasioso dell’imputata – spiega ancora nella sua requisitoria il PM – il coltello cade a terra, lei lo raccoglie e dice al Gioffrè di farla passare così sarebbe finito tutto. Ma quando Gioffrè le dice che che quella mattina sarebbe finita male. lei lo accoltella con 41 colpi. L’imputata era nel corridoio, poteva scappare, tirare un calcio ma infierisce».

Il PM aveva chiesto nuovamente di riascoltare Tiziana Mirabelli

Prima della requisitoria pubblico Ministero aveva chiesto ancora una volta alla Corte D’Assise «dopo aver letto le trascrizioni del confronto in udienza tra i due consulenti (Cavalcanti e Cardamone alla scorsa udienza)», che venisse riascoltata la Mirabelli relativamente alle contestazione su quanto dichiarato dall’imputata al pugno, ai lividi che avrebbe ripotato e sulla posizione del coltello introdotto nell’appartamento dal Gioffrè.

Inoltre l’ufficio di Procura aveva chiesto nuovamente di acquisire il video dell’interrogatorio della Mirabelli su quanto dichiarato all’epoca relativamente alla circostanza della caduta del Gioffrè (l’imputata ha sempre negato che Gioffrè fosse caduto a terra nella fase iniziale dell’accoltellamento). Per la Procura «nella rilettura dei verbali di udienza, relativa alla caduta di Gioffrè, vi è una discrepanza tra quanto dichiarato dall’imputata in aula e gli interrogatori e occorre acquisire quella parte di interrogatorio e darne lettura)».

No fermo difensore “La Mirabelli ha sempre risposto a tutto”

Su questo punto il difensore della Mirabelli aveva dato il consenso mentre sulle tre contestazioni iniziali si è fermamente opposto ribadendo che «si tratta di richieste che arrivano dopo la chiusura dell’istruttoria. La Mirabelli ha già risposto su questo e a tutte le domande ed ha dichiarato di non voler più deporre». Sulla richiesta di essere nuovamente ascoltata vi era stata il diniego dell’imputata (presente in aula). A questo punto il PM aveva chiesto che fosse data lettura delle dichiarazioni rese nel corso del primo interrogatorio del febbraio del 2023.  Dopo il ritiro in camera di Consiglio la Corte D’Assise negato la richiesta.

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