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Reset, a Rende voti venduti dalla ‘ndrangheta. La replica dei legali di Massimo D’Ambrosio

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Reset, a Rende voti venduti dalla ‘ndrangheta. La replica dei legali di Massimo D’Ambrosio

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La legge è uguale per tutti

COSENZA – I legali dell’imputato nel processo Reset Massimo D’Ambrosio, avvocati Amelia Ferrari e Valerio Murgano, in merito all’articolo pubblicato in data 11 luglio (Reset, attesa la sentenza: a Rende voti venduti dalla ‘ndrangheta per il Palazzetto, e stipendi da 500 euro.) intendono esplicitare alcune precisazioni.

«Il nostro assistito, con riferimento al processo svolto per la minaccia subita dall’assessore Vittorio Toscano, dopo la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, V Sezione Penale, in data 8 luglio 2025, ha ottenuto a seguito del rigetto del ricorso del Procuratore Generale, la conferma della sentenza di primo grado, pertanto, l’episodio relativa a Vittorio Toscano è giudizialmente definito con sentenza irrevocabile che ha visto il proscioglimento del predetto per il reato di violenza al Pubblico Ufficiale e dell’assoluzione dal reato di minaccia aggravata dal metodo mafioso. Il nostro assistito, non è mai stato imputato per essere stato il mandante dell’incendio all’auto di Vittorio Toscano in quanto la frase “un gesto che sarebbe stato ordinato da Massimo D’Ambrosio”, non risponde a verità, infatti, il predetto risponde di altri reati afferenti alla testimonianza resa da Vittorio Toscano nell’udienza dibattimentale del 7.05.2019 nel proc. 5421/16 RGNR ma non è mai stato imputato per tale ragione quale mandante dell’incendio».

«Massimo D’Ambrosio non è mai neppure stato indagato, per aver fatto pressioni per una “serie di licenze e attività che avrebbero dovuto rilasciare in suo favore e non in favore di altri” ma l’episodio contestato per le pressioni all’assessore Toscano, riguardava solo il bar “Colibri” che non è mai stato un “avamposto del gruppo D’Ambrosio”. La ricostruzione effettuata dall’articolista in ordine alle intercettazioni, non integrali e parziali non restituisce assolutamente il senso del discorso nella sua interezza, la cui lettura parcellizzata stravolge l’intendimento degli interlocutori, oltre a non essere né consequenziale e neppure affidabile la costruzione delle due intercettazioni per come proposte. Il Palazzetto dello Sport di Rende, non è mai stato assegnato ai fratelli D’Ambrosio o a persone a loro vicine per rapporti di parentela o amicizia, inoltre, il Sindaco Manna dice nell’intercettazione menzionata nell’articolo, di presentare un regolare progetto se erano interessati alla gestione, infine, Adolfo D’Ambrosio non è stato condannato nel processo “Reset” con rito abbreviato per voto di scambio politico mafioso, accusa da cui invece è stato assolto proprio dal Gup di Catanzaro. Infine, Massimo D’Ambrosio, non è mai stato intercettato in conversazioni dalle quali evincere che avrebbe seguito le direttive del fratello Adolfo, questa affermazione non ha trovato alcun riscontro nelle captazioni esaminate nel corso del processo. Tanto è apparso necessario da chiarire, per una opportuna conoscenza dell’opinione pubblica, in ordine alle vicende giudiziarie per cui, a breve, deve essere emessa sentenza di primo grado».

Le precisazioni della redazione

La redazione precisa che nell’articolo che restituisce il resoconto della requisitoria del PM non è scritto che Adolfo D’Ambrosio è stato condannato nel processo “Reset” con rito abbreviato per voto di scambio politico mafioso nè tantomeno che il Palazzetto dello Sport di Rende sia stato assegnato ai fratelli D’Ambrosio o a persone a loro vicine per rapporti di parentela o amicizia. Per quanto riguarda la vicenda relativa all’accusa di falsa testimonianza della quale è chiamato a rispondere di falsa testimonianza l’assessore Toscano si riportano di seguito, stralci della requisitoria della quale l’articolo riporta notizia.

«Il 17 marzo 2016, Toscano Vittorio assessore, in quella data, al Comune di Rende, sporge una prima denuncia/querela nei confronti di ignoti perché subisce l’incendio dell’autovettura. L’incendio dell’autovettura, una Volkswaghen Tuareg, data alle fiamme, dagli accertamenti preliminari dei militari intervenuti a domare le fiamme, si capisce che è un incendio di natura dolosa. Denuncia/querela per minaccia. Qualche mese dopo, siamo al 16 settembre 2016, Toscano Vittorio sempre assessore al comune di Rende, torna dai carabinieri di Rende, sporge querela per minacce nei confronti di D’Ambrosio Massimo perché, racconta,  “il 14 settembre 2016 sì presenta da me tale D’Ambrosio Massimo e mi minaccia, mi intimorisce, in relazione ai miei compiti istituzionali per una serie di licenze e attività che avrei dovuto rilasciare in suo favore e non in favore di altri”. Espressamente riportava in denuncia quelle che erano le minacce subite ovvero, le semplifico: “tu stai remando contro la famiglia D’Ambrosio, mi hai fatto solo chiudere il bar, stai dando fastidio con la festa della birra. Non c ‘hai dato niente, a loro stai dando tutto, non ti permettere a rilasciare le licenze a qualcun altro che poi sono problemi tuoi e appena liberano quello di sopra ti faccio vedere che fine ti faccio fare.

Questa la sintesi della minaccia che viene riportata in dialetto cosentino, pedissequamente nell’atto di denuncia. Rispetto a questa denuncia si instaura il fascicolo, il procedimento penale dinanzi alla procura distrettuale, 22 febbraio del 2018 vi è la richiesta di rinvio a giudizio. Richiesta di rinvio a giudizio che contempla, come imputazione, il reato di cui all’articolo 336 aggravato dal metodo mafioso. Aggravato, dal metodo mafioso in relazione alla minaccia nei confronti, ovviamente del pubblico: ufficiale in relazione all’attività da questi compiute e con riferimento all’evocazione del peso criminale ‘ndranghetistico di Adolfo D’Ambrosio, in quel periodo ristretto in carcere al 41 Toscano Vittorio si presenta presso i carabinieri di Cosenza e rimette la querela con contestuale accettazione da parte di D’Ambrosio Massimo.

Tuttavia il processo ormai instaurato, procedibile d’ufficio, trattandosi di un 336 aggravato dar metodo mafioso va avanti. Quindi in quella specifica fase la remissione di querela non ha un effetto diretto sull’improcedibilità di quella contestazione. Si instaura il processo, il processo è molto snello perché viene acquisito tutto il fascicolo del Pubblico Ministero al dibattimento e si fanno soltanto domande ad integrazione alla persona offesa. Sarà una contestazione suppletiva del Pubblico Ministero di udienza ai sensi del 517 perché rispetto alla prima impostazione accusatoria relativa al reato di minaccia al pubblico ufficiale si contesta il reato concorrente di minaccia, fattispecie che può concorrere con la prima. E quindi c’è questa contestazione suppletiva con l’aggravante mafiosa. L’esito è assolutorio e ci sarà la sentenza del 15ottobre del 2019 e qui l’analisi delle date è importante. Quindi in ragione di questa falsa testimonianza sulla percezione del collegamento con il fratello D’Ambrosio Adolfo e sulla caratura criminale di questo D’Ambrosio Massimo che a tal nome si era presentato, decade l’aggravante mafiosa perché non avendo egli percepito questa mafiosità l’aggravante mafiosa non c’è».

«Non c’è l’aggravante mafiosa, rimane la minaccia semplice e la minaccia semplice diventa improcedibile per effetto della remissione di querela. Questa è la sintesi del processo. Della falsa testimonianza avete contezza in atti. Della remissione di querela, invece, bisogno fare un passo indietro. Un passo indietro andando a recuperare le attività intercettive che ci dell’avvocato Pisani, quale istigatore di questa falsa testimonianza, ma le intercettazioni ci diranno anche che D’Ambrosio Massimo, Montualdista, Ciranno, alla presenza dell’avvocato Pisani, hanno indotto, nei tempi e nei modi che adesso vedremo, il Toscano a rimettere la querela, quindi quella remissione di querela ha un movente, ha una lettura che a ritroso le attività di intercettazione ci consentono di comprendere.

E non solo, che attraverso queste intercettazioni che poi sono stanzialmente due, adesso lo vedremo, che sono gli stessi D’Ambrosio Massimo, Montualdista Ivan e Giranno Fabiano che sono stati gli autori dell’incendio dell’autovettura di Toscano, come questi aveva ragionevolmente sospettato nella denuncia, perché in quella denuncia seconda, del 16 settembre 2016 lui dice: “guardate che io tre mesi fa ho fatto una denuncia di danneggiamento seguito da incendio, io non ho elementi per dirlo, però alla luce di questa minaccia che vi sto denuncia adesso, ritengo che le due cose sono collegate ” edera un legittimo sospetto da parte del Toscano. Le intercettazioni ci danno prova che quell’incendio, era, effettivamente stato ordito ed eseguito da D’Ambrosio Massimo, Montualdista Ivan e Ciranno Fabiano».

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