Pubblicavano, copiandoli da altri siti, annunci per la vendita online di auto e pezzi di ricambio. Incassavano i soldi della caparra e sparivano. Accertate oltre 60 truffe e i quattro, percepivano anche il reddito di cittadinanza
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BISIGNANO (CS) – Quattro persone sono state arrestate da Carabinieri e polizia postale di Cosenza che hanno accertato 60 truffe online perpetrate sull’intero territorio nazionale, per un danno complessivo di circa 20mila euro. Tre degli arrestati appartengono allo stesso nucleo familiare. Si tratta di due fratelli e della moglie di uno dei due. “Questa è la frontiera del cybercrime che presi singolarmente non destano particolare allarme, se non per le vittime che lo subiscono, ma denotano un’aggressione al patrimonio dell’intera collettività fatta con metodi subdoli”. Lo ha detto il procuratore capo della Repubblica di Cosenza Mario Spagnuolo, parlando con i giornalisti, a margine della conferenza stampa in merito ai quattro arresti per truffe online nel Cosentino. “Abbiamo individuato – ha poi aggiunto il procuratore Mario Spagnuolo – un’associazione per delinquere, un gruppo di persone che per professione erano dedite a commettere questi reati, erano organizzati e avevano una grande capacità organizzativa. Il tutto è stato possibili ricostruirlo grazie all’intelligenza degli investigatori e questa è la terza o quarta volta sul territorio nazionale che si configura l’ipotesi dell’associazione per delinquere”. La truffa, come spesso accade, avveniva utilizzando Internet: il gruppo pubblicava degli annunci per la vendita di auto e pezzi di ricambio, copiati da siti stranieri, su un sito di e-commerce italiano (subito.it, kijiji.it, ebay.it) che ovviamente attiravano l’attenzione delle potenziali vittime.
Una volta incassato il denaro della caparra, i quattro non spedivano mai la merce attuando la truffa ai danni degli ignari clienti ai quali non rimaneva oltre che sporgere denuncia. “Sostanzialmente il gruppo reperiva da siti esteri annunci relativi a veicoli storici, che venivano ricollocati su piattaforme di vendita online italiane. Da qui partivano delle trattive con ignari clienti, finalizzate, sostanzialmente, ad acquisire quanto prima la caparra, tramite carte Postepay”.
È quanto riferito dal comandante dei carabinieri di Cosenza, colonnello Piero Sutera. Gli arrestati, che vivono tutti a Bisignano, sono L. M. di 33 anni e V. N. di 35 anni, entrambi finiti in carcere. Gli altri due M. M. di 35 anni e S. R. di 26 anni, sono finiti invece ai domiciliari. Tre degli arrestati percepivano anche il reddito di cittadinanza. “Una delle cose che i malfattori non possono fare su internet è cancellare completamente le tracce. Poi, a seconda dei casi, se le tracce portano all’estero ci sono delle complicazioni che implicano la collaborazione internazionale con le altre forze di polizia e i gestori delle piattaforme, ma infine, nella maggior parte dei casi riusciamo a risalire agli autori”. Ha dichiarato Vincenzo Cimino dirigente del compartimento della polizia postale e della comunicazione per la Calabria.
Un vero e proprio sodalizio criminale
Un sodalizio organizzato e strutturato con una ben definita ripartizione dei compiti: dall’incaricato alla pubblicazione degli annunci sui principali siti di e-commerce, all’addetto alle trattative telefoniche (con tanto di accento tipico lombardo per convincere i malcapitati della genuinità dell’interlocutore), fino ad arrivare all’autista per accompagnare gli altri a prelevare il denaro provento delle truffe. Tutti gli indagati erano ben consapevoli delle modalità operative e delle finalità illecite del gruppo stesso condividendone gli scopi ed i metodi comuni. Un disegno criminoso architettato nei minimi dettagli per soddisfare le esigenze economiche di tutti gli appartenenti, tre dei quali, tra l’altro, percepivano il “reddito di cittadinanza”, motivo per il quale sono state informate le autorità competenti per la revoca del citato beneficio. Tra l’altro, in una delle conversazioni captate, uno degli indagati diceva, in ordine al denaro disponibile per le varie esigenze personali e familiari “ …ora devi finire questi (ndr soldi) del reddito di cittadinanza e poi ti metti a lavorare…”, affermazione cui facevano seguito delle risate da parte di entrambi gli interlocutori.
Il “modus operandi”
La strategia operativa, ben collaudata, era sempre la stessa e si sviluppava nelle seguenti fasi:
- reperimento delle immagini di reali annunci di vendita di veicoli di interesse storico da siti di e-commerce stranieri (con annesse foto delle vetture e dei relativi documenti di proprietà);
- pubblicazione dell’annuncio e relativa trattativa telefonica con le vittime (riproducendo addirittura un accento tipico lombardo);
- invio dei dati della poste-pay su cui effettuare il pagamento e della carta di identità di uno degli arrestati (in passato residente nel comune di Brembate di Sopra in provincia di Bergamo);
- pressione psicologica sulle vittime finalizzata ad indurle a versare subito un acconto di qualche centinaia di euro a titolo di “caparra” (simulando la presenza di numerosi altri potenziali acquirenti);
- rimozione dell’annuncio dal Web una volta ricevuta la caparra (al fine di convincere la vittima della serietà del venditore e del buon esito della trattativa);
- immediato prelievo del denaro contante, a seguito del quale i malviventi si rendevano irreperibili.
L’approccio con le vittime, le truffe e il gergo utilizzato
Nella gran parte delle truffe l’incaricato alle trattative faceva intendere di essere particolarmente prudente nell’approccio con i potenziali acquirenti in quanto in diverse occasioni era stato “…fregato da alcuni farabutti…”, come nel caso della finta consegna di un mezzo pesante in Trentino Alto Adige. Nello specifico caso, facendo intendere di dover sostenere ulteriori spese per portare il mezzo in visione al potenziale cliente, i malviventi si facevano versare la somma di 250 € quale anticipo sulle spese di trasporto a domicilio del mezzo, ma una volta incassato il denaro facevano perdere le proprie tracce. In un’altra circostanza, invece, i malviventi si dicevano quasi “..dispiaciuti..” per aver raggirato una vittima che, pur di accaparrarsi un motociclo in vendita, dapprima faceva parlare il figlio con il finto venditore (atteso che il ragazzo sarebbe stato il destinatario del regalo) e successivamente si metteva in viaggio percorrendo quasi 500 km pur di avere il mezzo. I sodali commentavano l’accaduto dicendo che “..era un peccato che si faceva tutti quei chilometri per nulla e che era il caso di richiamarlo e dire che il mezzo era stato venduto e di tornare indietro, ma non prima di aver prelevato le 200 € di caparra”. Infine, per tutti i sodali la consumazione di truffe doveva intendersi come una sorta di vero e proprio “lavoro”, tanto è vero che il leader e promotore del sodalizio veniva in più circostanze chiamato durante le conversazioni “capo” o “datore di lavoro”. Paradossalmente, quando gli affari andavano male, commentavano dicendo che ”.. il lavoro andava male e che se gli affari continuavano ad andare male dovevano andare a rubare..”.
La dimostrazione più evidente della consapevolezza dell’“impiego stabile” nella conduzione delle truffe on line si poteva desumere, altresì, da una conversazione nella quale una delle indagate raccontava al marito, anch’egli indagato quale promotore dell’associazione per delinquere, che la loro figlia minore aveva dovuto fare dei disegni a scuola raffiguranti le attività che facevano in famiglia. In tale circostanza la minore rappresentava il padre mentre era seduto in casa a lavorare sodo al computer. A tale affermazione l’interessato rispondeva “…io vendo…compro…vendo… che c’è di male…non vado in ufficio…però faccio sempre al computer…non faccio nulla di male”.
La cooperazione con il compartimento della polizia postale Calabria
Nel corso delle attività investigative i militari operanti, anche grazie all’importante ausilio di personale della Polizia Postale della Calabria – Sezione di Cosenza, riuscivano a risalire, tramite l’indirizzo IP (internet protocol), al personal computer utilizzato dal gruppo criminale per perpetrare le innumerevoli condotte illecite. Nel corso delle perquisizioni eseguite durante l’esecuzione delle misure, il personale della Polizia Postale ha proceduto, unitamente ai Carabinieri della Compagnia di Rende, a sequestrare il PC ed i telefoni cellulari in uso agli indagati.
“Non suonate se cercate Vincenzo o Lorenzo non abitano qui!”
E’ questo il disperato appello che un cittadino del comune di Brembate di Sopra in provincia di Bergamo aveva appeso fuori dal citofono. In diverse occasioni, infatti, il malcapitato aveva ricevuto innumerevoli visite dalle persone che si presentavano per vedere i veicoli messi in vendita e, ancora peggio, dalle vittime delle truffe che con toni accesi si rivolgevano all’attuale proprietario dell’abitazione, la cui unica sfortuna era quella di dimorare in un’abitazione al medesimo numero civico ove in passato aveva risieduto uno dei sodali, come indicato nella vecchia carta di identità che era solito inviare via WhatsApp alle vittime per fornire loro garanzie circa la serietà dell’affare. Una delle vittime, fortemente risentito di quanto subito, quale vendetta effettuava un acquisto su altro sito di e-commerce utilizzando il nominativo ed il documento a suo tempo ricevuto dal truffatore, nonché i dati relativi alla poste pay da questo utilizzata.