Area Urbana
Processo Reset, un poliziotto e un carabiniere tra i 121 imputati in attesa di giudizio
 
																								
												
												
											CASTROVILLARI (CS) – È attesa per martedì 15 luglio la sentenza di primo grado del processo Reset. Verrà pronunciata nell’aula bunker di Castrovillari, dal Tribunale di Cosenza rappresentato dal collegio presieduto da Carmen Ciarcia con a latere i giudici Urania Granata e Iole Vigna. Alla sbarra 121 imputati, per i quali i pm della Dda di Catanzaro, Vito Valerio e Corrado Cubellotti, hanno chiesto 111 condanne e 10 assoluzioni. L’operazione scattata nel settembre 2022 ha coinvolto 245 indagati, dei quali 119 giudicati con rito abbreviato. In attesa di giudizio, tra gli altri, ci sono anche due uomini in divisa. Entrambi sono accusati di aver intrecciato rapporti con i clan, sebbene con modalità nettamente diverse. Silvio Orlando è un poliziotto che rischia una condanna a 5 anni di reclusione, mentre Rosario Aurello è un carabiniere della Compagnia di San Marco Argentano per il quale sono stati invocati 2 anni di pena.
La macchina dei carabinieri sotto copertura
Rosario Aurello deve rispondere di rivelazione di segreto di ufficio. Avrebbe comunicato che un’auto sotto copertura dei carabinieri stava effettuando attività di investigazione su Massimo D’Ambrosio. Il pm Vito Valerio, durante requisitoria del 30 maggio, ha affermato che “l’informazione sarebbe stata veicolata attraverso Umile Ferraro (per il quale è richiesta condanna a 2 anni di reclusione). A fungere da ponte, secondo gli inquirenti, Massimo Bertoldi (condannato in abbreviato a 12 anni e 8 mesi di reclusione) che, sollecitato da Massimo D’Ambrosio, avrebbe chiamato il militare per chiarimenti sull’effettiva esistenza di una macchina in uso alle forze dell’ordine che seguiva i loro movimenti”.
Il 13 agosto 2018, in una Rende spopolata per le ferie estive, infatti Massimo D’Ambrosio afferma, in un’intercettazione citata dal pm nel corso della requisitoria, di essersi accorto che nei pressi della propria abitazione un’auto con i vetri oscurati e un passeggero coricato dietro pedinava una delle sue presunte vittime d’usura. Appunta la targa, allerta l’uomo e si mobilita per saperne di più. Scoprirà che si tratta di un veicolo in uso ad una squadra di Catanzaro, quindi che potrebbe essere incaricata di svolgere attività per conto della Procura distrettuale antimafia. Notizia che il gruppo accoglie con grande apprensione.
«Proprio a me chiedi di aggiustare la macchina dei Carabinieri?»
Nella requisitoria del 30 maggio 2025 i fatti citati nell’aula bunker vengono conditi con episodi marginali, ma ritenuti significativi dal pm Vito Valerio. È il caso di Bertoldi che chiacchierando con Massimo D’Ambrosio il 7 giugno del 2019, in una conversazione intercettata, racconta che la settimana precedente l’amico carabiniere lo aveva aiutato a verificare se nella macchina ci fossero microspie. Scivola in una cinica comicità quanto accade il mese successivo. Il maresciallo Aurello Rosario ha un imprevisto con l’auto di servizio. Vede Massimo Bertoldi e chiede di risolvergli il problema, magari andando dallo sfasciacarrozze, dal “ferro vecchio” di Umile Lanzino per cercare un radiatore usato. «Proprio a me vieni a chiedere di aggiustare la macchina dei Carabinieri?» ironizza Bertoldi che, intercettato, dice «siccome sei un Carabiniere al… diciamo che ci favorisce ogni tanto, io ho questo piacere te lo faccio».
Gaming e ‘ndrangheta
L’impianto accusatorio rileva che le società orbitanti nel circuito del gaming siano particolarmente utili ai clan, perché consentono di ripulire denaro sporco. Nei casi presi in considerazione la frode, contestata dalla pubblica accusa, consiste nell’introduzione all’interno delle slot machine noleggiate dalle sale da gioco di una doppia scheda. Un clone di quella con il sigillo ministeriale che consente (senza interrompere il collegamento al provider ufficiale) di scaricare le giocate eludendo vigilanza e tassazioni. Con guadagni netti, non dichiarati. Quando però arrivano ispezioni di polizia questa “scheda nera” deve sparire. La tendenza diffusa in questa inchiesta sarebbe quella di intestare le società a prestanome che di fatto non hanno nulla a che vedere con la gestione concreta dell’attività. Secondo la ricostruzione fatta dall’ufficio di Procura, vi sarebbero un pugno di realtà imprenditoriali che fanno “cartello” nel settore del gaming nella città e nella provincia di Cosenza.
La doppia scheda nelle “macchinette”
Daniele Chiaradia è un giovane e brillante ingegnere informatico. Viene intercettato mentre nel luglio 2017 spiega al poliziotto della Questura di Cosenza Silvio Orlando il meccanismo escogitato per massimizzare i guadagni. I due, per la Dda che li accusa anche di autoriciclaggio, erano soci. Facevano affari insieme nel settore del gaming soprattutto attraverso la società OrChisrl e le agenzie a marchio Eurobet. La proprietà della OrChi risulta ufficialmente da visura camerale al 51% di Fabiola Sacco (moglie di Orlando) e al 49% di Francesco Sorrentino (cugino di Chiaradia). L’entusiasmo mostrato dal poliziotto appresa la tecnica della doppia scheda, lo induce a dire a Chiaradia che sarebbe una buona idea istallarle un po’ ovunque. L’ingegnere però frena Orlando. Fa notare che l’uso di queste slot machine andrebbe circoscritto solo ai locali dove vi possano essere dipendenti di turno capaci di “mettere in sicurezza” le macchine da gioco manipolate in casi di controlli di polizia.
Il poliziotto e le videoslots truccate
Il coinvolgimento del poliziotto nella gestione della OrChi sarebbe testimoniato, secondo la Procura distrettuale, dal fatto che Sorrentino appare nelle intercettazioni come un dipendente e non come l’ufficiale titolare dell’attività. Prende direttive da Orlando, non solo per quanto riguarda la concessione di crediti a giocatori già indebitati, ma viene presentato come un suo sottoposto anche agli ufficiali di polizia giudiziaria che vanno a fare dei controlli nell’agenzia. Tant’è che, contattato telefonicamente durante l’ispezione, dice al collega che Sorrentino non poteva esibire la licenza perché l’aveva lui con sé. Ma c’è di più. Orlando, da quanto emerso nel corso delle investigazioni, non solo partecipa direttamente all’attività amministrativo/contabile della OrChi, ma si avvale della collaborazione di Cristian Vozza (uomo legato al clan Abbruzzese – Banana) per recuperare i soldi dei clienti in ritardo con il pagamento dei debiti di gioco contratti con la società. Il business del gaming attinto dall’operazione Reset aveva inizialmente coinvolto nelle indagini anche l’assessore alla Manutenzione del Comune di Cosenza, Francesco De Cicco poi assolto da ogni accusa.
 
                         
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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