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Padre Fedele ed il Cosenza che non c’è più

Padre Fedele ed il Cosenza che non c’è più

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COSENZA – Non poteva non passare dallo stadio l’ultimo viaggio di Padre Fedele, che è di fatto un pezzo di storia della città.

Le giornate “dedicate” a Padre Fedele, dalla camera ardente fino alla sepoltura, passando per il suo funerale, sono state caratterizzate, però, dal ricordo di una Cosenza che, per forza di cose, oggi è cambiata. Forse non c’è più o esiste solo in parte oltre che nella galleria dei ricordi.

Il passare del tempo, del resto, non fa sconti a nessuno, neanche ad un “Monaco”, che faceva la spola fra la Calabria e l’Africa con l’intento di aiutare gli altri.

Se della figura del frate, di quell’uomo, di quel religioso, altruista come pochi, si è parlato tanto in queste ore, allo stesso modo è stata celebrata la figura del tifoso, dell’ultra, che è impossibile scindere da tutto il resto.

Probabilmente, in questa fase storica, è proprio riferito al calcio uno dei confronti più impietosi fra la Cosenza del passato e del presente. Chi ha preso parte al funerale del “Monaco“ ha avuto modo di vivere, anche solo per pochi secondi, un senso di appartenenza, che al momento non alberga a questa latitudini. Non si tratta di vincere o perdere, non si tratta di serie a, B o C, è comunità, è simbiosi fra città e squadra, è quel legame che si crea nella vittoria e nella sconfitta, è quella identità che hai sulla pelle, che condividi con chi ti trovi al tuo fianco in gradinata. Allora il San Vito si trasformava davvero nel “Maracanà”, quello di un tempo, una sorta di luogo dei sogni.

Padre Fedele ha preso il bello ed il buono del mondo del calcio e ci ha messo poi del “suo”; non solo l’estrosità del suo modo di essere, ma anche il suo carisma, la sua generosità e, da leader qual è, ancora oggi, ha trascinato il tifo rossoblù verso nobili traguardi. Ragazzi che sono diventati uomini con valori grazie a lui e la sosta al San Vito Marulla dopo il funerale non è stata solo una celebrazione dovuta, ma anche una sorta di “rimpatriata” e, volendo, anche la consegna di un testamento spirituale.

Il messaggio è chiaro, ma serve che ci sia chi è in grado di recepirlo. La storia, prima di scriverla, bisogna conoscerla, magari viverla e sentirla sulla propria pelle. Almeno a queste latitudini, dove non ci si gioca la Champions League, ma in palio c’è altro.
E qui la storia è stata scritta da un monaco, non “uno con i soldi”, ma uno che ha capito che il Cosenza calcio non è una società, ma una comunità.

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