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Omicidio Taranto: 10 anni dopo, non è chiaro cosa successe quella notte a via Popilia

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Omicidio Taranto: 10 anni dopo, non è chiaro cosa successe quella notte a via Popilia

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COSENZA – Colpi di pistola che rompono il silenzio. L’arma forse s’inceppa, ma almeno uno dei proiettili centra e uccide Antonio Taranto nella notte tra il 28 e il 29 marzo 2015. Il cuore del 26enne, meglio noto come lo Squalo, cessa di battere nell’androne della palazzina al civico 133/C dell’Ultimo Lotto. Una serata concitata durante la quale, per quanto emerso dalle indagini, si sarebbe consumata una lite in una discoteca tra il suo amico Leonardo Bevilacqua e Domenico Mignolo. Una discussione, maturata negli ambienti della criminalità organizzata, che aveva infiammato gli animi. Rientrati tra i quartieri di via Popilia il litigio sarebbe, secondo le iniziali accuse, degenerato in maniera irreparabile culminando, non si sa ufficialmente come, nella morte di Taranto.

Omicidio Taranto impunito

Trascorsi 10 anni non c’è un responsabile del delitto. E il revolver calibro 38 che ha sparato non è stato ancora trovato, mentre sono stati rinvenuti solo 2 bossoli compatibili con le ferite d’arma da fuoco riscontrate sul corpo della vittima. Intanto lo scandalo che ha travolto la Corte d’Appello di Catanzaro ha coinvolto Marco Petrini, giudice titolare del processo in Appello che in seconda battuta ha visto assolvere l’uomo ritenuto l’esecutore dell’omicidio Taranto: Domenico Mignolo. E mentre una delle condanne incassate per corruzione in atti giudiziari è stata annullata e l’ex presidente della seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro arrestato nel 2020 è in attesa di pronuncia definitiva, il giovane inizialmente ritenuto il presunto killer è stato definitivamente scagionato dall’accusa di omicidio aggravato.

Assolti Mignolo e il presunto complice

Assolto in via definitiva dalla Corte Suprema di Cassazione il 3 luglio 2023, Domenico Mignolo era stato arrestato nel dicembre 2015 in quanto sospettato di essere l’esecutore del Delitto Taranto. Insieme a Leonardo Bevilacqua (inizialmente condannato a 1 anno e 6 mesi per favoreggiamento) viene assolto “per non avere commesso il fatto” dalla seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro nel febbraio 2022. Una sentenza che ribalta la pena a 18 anni di reclusione inflitta dal Tribunale di Cosenza nel processo in abbreviato e ridimensionata con un piccolo sconto (16 anni di detenzione) in secondo grado per poi essere annullata dalla Cassazione nel 2019. L’unico ad essere condannato è stato Riccardo Altomare: 1 anno e 6 mesi, per favoreggiamento personale. Dal suo canto Mignolo, difeso dagli avvocati Andrea Sarro e Filippo Cinnante, ha sempre proclamato la propria innocenza, ripetendo di non aver sparato né dal balcone né dalla piazza.

Le perizie contraddittorie

La condanna era stata annullata con rinvio dalla Cassazione per incongruenze sulle perizie balistiche finalizzate a stabilire l’ipotetica traiettoria del proiettile che ha colpito il 26enne. Rilievi che non spiegavano il motivo perché i bossoli fossero stati trovati per terra vicino ad un albero della piazza. Il nuovo perito chiamato a fare chiarezza e nominato dall’allora presidente della Corte d’appello, Marco Petrini ha redatto una consulenza tecnica illustrata al collegio giudicante che ha sostituito il giudice sospeso dalle sue funzioni nella quale, in sintesi, afferma che i colpi dai quali è stato attinto Taranto non sarebbero stati sparati dal balcone, ma verosimilmente da terra, alle spalle, da una distanza non superiore ai 10 metri. L’esatto contrario di quanto riferito dai consulente balistico della pubblica accusa che aveva riferito alla Corte che «tra il balcone di Domenico Mignolo e il portone del civico 133/C, davanti al quale si trovava Antonio Taranto al momento della sparatoria, vi era piena visibilità». Le indagini non sono state riaperte. E la morte dello Squalo, per ora, resta impunita.

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