Provincia
I Borghi fantasma del Cosentino: viaggio tra le rovine della memoria
 
																								
												
												
											COSENZA – C’è un silenzio surreale che parla, tra i vicoli deserti e le pietre scolorite dal tempo. È il silenzio dei borghi fantasma del Cosentino, paesi sospesi tra passato e presente, dove la vita si è fermata ma la memoria resiste. Incastonati tra le montagne della Sila, aggrappati alle gole del Pollino o affacciati sui crinali della Valle del Crati, questi luoghi sono testimoni muti di una Calabria che cambia — e che a volte, semplicemente, scompare.
Laino e Campana: nomi sussurrati dal vento
Campana Vecchia, con le sue giganti pietre antropomorfe note come “i giganti di pietra della Sila Greca”, è avvolta da leggende antichissime. Alcuni le attribuiscono a riti pagani, altri a statue votive di una civiltà scomparsa.
 
A Laino Borgo, il tempo si è fermato al 1982. Gli abitanti furono trasferiti a valle a causa dei danni dovuti a fenomeni sismici e idrogeologici, ma i ruderi del centro storico restano lì, come un presepe spezzato. “Ogni tanto torno, anche solo per sentire l’odore delle pietre calde al sole”, racconta Maria, 73 anni, emigrata in Svizzera e tornata in Calabria per la pensione.
Molti dei borghi cosentini (e di tutta la Calabria) sono stati abbandonati per cause naturali — frane, terremoti, alluvioni — ma più spesso il vero terremoto è stato sociale. Lo spopolamento, aggravato da decenni di emigrazione e dall’assenza di politiche di rilancio delle aree interne, ha svuotato interi paesi.
Secondo uno studio della Fondazione Symbola, oltre 60 piccoli centri calabresi hanno perso più del 50% della popolazione in trent’anni. E in provincia di Cosenza, il fenomeno è ancora più marcato nei comuni montani.
 
 
Storie di ritorni (e di resistenza)
Non tutto è perduto. Alcuni borghi, come Civita e Morano Calabro, pur avendo conosciuto il declino demografico, sono riusciti a reinventarsi puntando su turismo lento, ospitalità diffusa e valorizzazione del patrimonio culturale. Altri, come Aieta o Oriolo, si affidano a festival e rievocazioni per tenere viva la fiamma dell’identità.
Ma nei borghi fantasma veri e propri, dove nessuno abita più, si moltiplicano i progetti di recupero: residenze d’artista, cammini spirituali, turismo “esperienziale”. A Canna Vecchia, una start-up vuole trasformare le case in rovina in rifugi per nomadi digitali. A San Donato di Ninea, un’associazione di giovani sta catalogando tutte le case disabitate per creare un archivio della memoria.
 
Avena di Papasidero – Dove la natura reclama il borgo
Case invase dai rovi e porte sfondate dal tempo: ad Avena la vegetazione ha preso il posto dell’uomo, trasformando il paese in un giardino selvaggio della memoria
  
La bellezza che resta
Camminare tra questi ruderi significa ascoltare un’eco: quella delle voci che non ci sono più, dei rintocchi di campane arrugginite, dei racconti sussurrati dal vento e che trasudano dalle pieghe di strutture fatiscenti. È un patrimonio non solo architettonico, ma emotivo. Un’eredità fragile che rischia di andare perduta.
Come scriveva Cesare Pavese, “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. Ma forse, oggi, quel paese ci vuole anche per il coraggio di tornare.
 
                         
								 
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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