Area Urbana
Ex Legnochimica di Rende: condannato per omessa bonifica il liquidatore Pasquale Bilotta
COSENZA – Ex Legnochimica di Rende, arriva il verdetto. Il tribunale di Cosenza, in composizione monocratica (Francesca Familari), ha condannato (con pena sospesa) a 9 mesi di reclusione Pasquale Bilotta, ex liquidatore dell’ex Legnochimica di Rende. Bilotta era imputato per disastro ambientale e omessa bonifica. Caduto il primo capo di imputazione l’ex liquidatore è stato condannato solo per l’accusa di omessa bonifica e al pagamento di una multa di 14.000 euro oltre alle spese processuali. Bilotta condannato anche al risarcimento del danno alle parti civili costituite: Gf Car, Gf Motor rappresentati dall’avvocato Salvatore Tropea, Legambiente Calabria rappresentata dal legale Rodolfo Ambrosio e alcuni privati cittadini difesi dall’avvocato Pasquale Filippelli. Il giudice ha disposto anche il dissequestro dell’area.
Il sequestro dell’ex Legnochimica
Nel 2025 il Nipaf (Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale del Corpo Forestale dello Stato) di Cosenza sequestrò l’area dell’ex stabilimento della Legnochimica S.r.l. di Contrada Lecco a Rende. Il decreto di sequestro venne emesso dalla Procura della Repubblica di Cosenza a seguito di una complessa attività’ di indagine. Gli uomini del Corpo Forestale dello Stato eseguirono il sequestro della vasta area, estesa per circa 90.000 metri quadri e di 15 pozzi situati nella zona della falda, alcuni dei quali usati a scopo irriguo e altri utilizzati nell’allevamento di bestiame per l’abbeveraggio degli animali.
Due di essi erano utilizzati anche a scopo industriale ed uno da una industria alimentare. Dalle indagini emerse che le falde acquifere dell’aerea risultavano fortemente inquinate da metalli pesanti quali ferro, alluminio, manganese, arsenico, cromo, nichel, cobalto e piombo. L’area, che non era mai stata interessata da operazioni di bonifica o messa in sicurezza di emergenza, era stata invece periodicamente interessata da fenomeni di incendio, dovuti alla combustione dei rifiuti in essa presente che hanno sprigionato nell’aria sostanze tossiche.
“C’era da morire per la puzza: l’aria era irrespirabile”
Nel corso del processo avevano testimoniato alcuni imprenditori e titolari di alcuni capannoni che si trovano a pochi passi dal terreno dove, la Legnochimica, fino a i primi anni 2000 produceva tannino. Il primo a testimoniare fu Giuseppe Falbo, titolare della Gf motor e Gf car, costituito parte civile, che raccontò il suo dramma quotidiano e quello dei dipendenti dopo che, nel 2010, aveva acquistato alcuni capannoni sperando in una bonifica. “L’aria era pessima, irrespirabile e, quando si verificavano gli incendi, la situazione peggiorava”.
Ma, l’imprenditore raccontò anche che proprio a causa della situazione in cui versava la Legnochimica, subì ingenti danni economici non solo per la pessima qualità dell’aria, che spingeva molti operai a non recarsi sul posto di lavoro, ma anche per le ordinanze emesse dall’allora sindaco Manna il quale invitava anche i residenti a non uscire, costringendo di fatto l’attività a chiudere per alcuni giorni. Per non parlare degli incendi che – racconta l’imprenditore – duravano anche alcune settimane”.
L’imprenditore Raffaele Strusi: “C’era da morire, per la puzza e per l’aria irrespirabile. Ovviamente per l’azienda i danni sono stati molteplici. Abbiamo in tutto 35 operai, molti si sono rifiutati di continuare l’attività lavorativa e alcuni hanno accusato difficoltà respiratorie. Inoltre sono saltate alcune consegne e la casa madre ha più volte sollecitato i nostri uffici per capire quali fossero i motivi legati alle mancate immatricolazioni. Falbo raccontò anche degli incendi “almeno un paio all’anno e nel 2015 un rogo ha resistito oltre 40 giorni agli interventi costanti dei vigili del fuoco. I roghi e l’odore nauseabondo avevano spinto molti clienti a non recarsi in azienda con conseguenti perdite economiche”.
Venne ascoltato tra le testimonianze anche il titolare di un terreno agricolo adiacente all’ex Legnochimica che raccontò come i terreni, concessi gratuitamente a un familiare che aveva realizzato un’azienda poi chiusa, “sarebbero stati letteralmente “svenduti” dopo la chiusura dell’azienda agricola. Nessuno voleva comprarli, dal valore di 60 euro al metro quadro li abbiamo venduti 3 volte in meno”.
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