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Cosenza: celebrazioni natalizie solenni in Cattedrale, il messaggio del vescovo
COSENZA – Le celebrazioni natalizie solenni presiedute dall’Arcivescovo saranno domani, 24 dicembre alle ore 23.30 in cattedrale per la Veglia della notte di Natale. Alle 11.00 del 25 dicembre in occasione del Santo Natale, sempre nella Cattedrale e il 6 gennaio 2024 alle 11.00 nella Concattedrale di Bisignano. Il vescovo, mons. Giovanni Checchinato ha poi rivolto ai fedeli dell’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano un messaggio per il Natale.
Messaggio per il Santo Natale 2023 dell’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano
“Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.” (Tommaso da Celano, Vita Prima, 85: Fonti francescane (FF), n. 469
Celebriamo quest’anno l’ottavo centenario della prima rappresentazione della nascita di Gesù suscitata dal desiderio di Francesco d’Assisi di “vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato” il Figlio di Dio nella sua nascita. “Vedere con gli occhi del corpo” è una indicazione molto importante per la nostra esperienza di fede e per la nostra preghiera ed è una disposizione che talora dimentichiamo, pensando che il nostro rapporto con il Signore si giochi tutto, o quasi esclusivamente, nella nostra testa, coi nostri pensieri e le nostre deduzioni razionali; la scelta del poverello di Assisi ci aiuta a entrare nel mistero della fede con la totalità di noi stessi, a fare contatto con la storia di Gesù attraverso i nostri sensi, dato che la festa del Natale vuole annunciarci proprio la grande verità della Incarnazione del Verbo di Dio.
“Vedere con gli occhi del corpo” significa certamente attivare il senso della vista, ma significa anche connettere ad esso il nostro pensiero, il nostro cuore. Davanti ai nostri occhi passano tante cose, tante persone, tante situazioni vitali, ma non le vediamo tutte. Qualche volta i nostri occhi guardano, ma non vedono. O vedono, ma colgono solo la dimensione più esterna di ciò che i sensi sanno percepire. E certamente Francesco voleva vedere per poter gustare interiormente il grande insegnamento che il Verbo Incarnato offriva a lui e offre a noi nel mistero del Natale. Per poter compiere questa operazione abbiamo bisogno di concentrarci sull’oggetto del nostro guardare, perché è impossibile vedere più cose contemporaneamente. E voler vedere con gli occhi del corpo significa scegliere cosa vogliamo vedere, fissare il nostro sguardo per raccogliere elementi appariscenti ed elementi di sfondo, tonalità date dal colore e dalla posizione rispetto alla luce, gustando ogni singolo elemento di quanto stiamo guardando.
Ci possiamo chiedere se e quante volte facciamo questa operazione con le immagini della nostra fede, quanto tempo dedichiamo a contemplare il bambino nel presepio, ad esempio, a gustare la sua tenerezza, la sua umanità, la sua piccolezza. Non cresciamo nella fede solo imparando qualche elemento nuovo del catechismo, ma anche accogliendo la bellezza che traspare dalle pagine dei Vangeli che ci raccontano Gesù.
“Vedere con gli occhi del corpo” può ancora significare regalarsi del tempo per rientrare in se stessi e chiedersi cosa può significare per me quel segno di debolezza e di fragilità che è la dimensione dentro alla quale si è nascosto Dio stesso. Il nostro tempo, molto più veloce del passato, anche recente, ci mette in una condizione di tale velocità che è oggettivamente difficile guardare con accuratezza e vedere bene. I social media ci hanno abituato a messaggi rapidissimi, a concentrare tutto in una manciata di secondi, a gustare fugacemente una immagine. Eppure ognuno di noi sa cosa significa poter abbracciare la persona amata dopo una giornata di lavoro, o dopo un tempo prolungato di assenza. Certamente nessuno di noi si concentra per compiere quell’abbraccio in pochi secondi, ma vorrebbe prolungare – magari per sempre – la gioia di quell’incontro. E per poterlo compiere c’è bisogno di tempo, un tempo lento, non veloce, di intimità reale, non di pubblicità, di silenzio non di chiasso. Vedere con gli occhi del corpo significa allora anche vedere con gli occhi del cuore e regalarsi e regalare tempo alla persona amata e a se stessi: contemplare il presepio ci permette di entrare in relazione con il Signore in maniera profonda, “cuore a cuore” per accoglierlo ed ascoltarlo nella piccolezza e fragilità con cui si manifesta a noi. Scriveva D. Bonhoeffer: “Dio si fa bambino non per trastullarsi, per giocare, ma per rivelarci che il trono di Dio nel mondo non è nei troni umani, ma negli abissi e nelle profondità umane, nella mangiatoia. Attorno al suo trono non ha voluto i grandi della terra, ma personaggi oscuri e sconosciuti che non si stancano di guardare questo miracolo e vogliono vivere completamente della misericordia di Dio. La mangiatoia e la croce sono le due realtà che determinano il destino dell’umanità. Dinanzi ad esse il coraggio dei grandi di questo mondo si dissolve, e al suo posto subentra la paura. In verità nessun violento osa avvicinarsi alla mangiatoia, e neppure il re Erode l’ha fatto. Appunto perché qui vacillano i troni, cadono i violenti, precipitano i superbi, perché Dio è con gli ultimi.”
Il testo francescano ci ricorda che sulla mangiatoia il sacerdote celebrò l’Eucaristia, per mostrare il legame profondo fra Incarnazione ed Eucaristia. In effetti anche nell’Eucaristia il Signore si rende presente attraverso i segni sacramentali del pane e del vino, due piccole realtà che diventano mezzo attraverso cui, Colui che è grande per essenza, si fa presente attraverso ciò che è piccolo. “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo, divinum est” (Non esser costretto da ciò che è più grande, e tuttavia essere contenuto in ciò che è più piccolo, questo è divino); Papa Francesco lo interpreta così: “ciò che è divino è l’avere ideali che non sono limitati neppure da ciò che vi è di più grande, ma ideali che siano allo stesso tempo contenuti e vissuti nelle cose più piccole della vita”. Tuttavia il significato di una celebrazione eucaristica compiuta sulla mangiatoia del presepio può avere un ulteriore significato legato alle parole della istituzione della Eucaristia stessa, quando Gesù chiede ai suoi discepoli: “Fate questo in memoria di me”. Se il Signore del cielo e della terra ha scelto di farsi uomo fra gli uomini, se Colui che nessuno può contenere si è fatto pane e vino, anche noi siamo chiamati a diventare – come Lui – piccoli e ad amare ciò che è piccolo ed ultimo, segno della sua presenza nella nostra storia. È proprio Gesù che lo dirà ai suoi discepoli, rivelando il contenuto di una sua preghiera rivolta al Padre: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”. (Lc 10,21) Non posso non andare col pensiero a coloro che sono piccoli e ultimi perché non possono gustare appieno della vita, delle risorse della terra, del bene prezioso della pace, perché giudicati dal nostro perbenismo e dalle nostre logiche inumane, perché non corrispondenti alle nostre attese e pretese. E così il presepio, così affollato di persone che venivano considerate “sgradite” dalla cultura del tempo, diventa l’icona del nostro tempo e ci mette davanti l’invito a cercare il Signore proprio lì dove la nostra chiusura mentale non lo andrebbe a cercare.
Desidero augurare a tutti voi un sereno e festoso Natale, fatto di sguardi buoni, di tempo da gustare e da regalare, fatto di contemplazione e di silenzio, di sobrietà e semplicità, proprio come il presepio di Francesco di Assisi ci insegna.
Buon Natale a tutte e a tutti!
Giovanni Checchinato
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