Area Urbana
Cosenza: 10 anni dalla morte di Ruffolo, confermate responsabilità dell’Ospedale
 
																								
												
												
											COSENZA – Sono trascorsi più di dieci anni dal decesso di Cesare Ruffolo avvenuto il 4 luglio del 2013 e cinque gradi di giudizio che hanno confermato le responsabilità del personale medico e dirigenziale dell’Ospedale di Cosenza, ma ancora nessun riconoscimento di responsabilità a mezzo di risarcimento è stato fornito ai Familiari dai vertici dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza.
L’ulteriore conferma delle omissioni e delle inefficienze riscontrate nel corso egli anni proviene dal corposo elaborato peritale depositato dinanzi al Tribunale di Catanzaro dove si sta celebrando l’ennesimo procedimento civile, il sesto, dinanzi al quale la Famiglia Ruffolo a mezzo dell’Avv. Massimiliano Coppa, insieme con l’Avv. Luigi Forciniti e Giovanni Ferrari, ha convenuto in giudizio l’Ospedale di Cosenza, il Ministero della Salute, l’Asp di Cosenza che a sua volta ha convenuto in giudizio sia il Dott. Marcello Bossio, ex primario di immunoematologia dell’Ospedale di Cosenza, ritenuto responsabile in via definitiva a seguito dell’accoglimento del ricorso dell’Avv. Massimiliano Coppa per violazione della posizione di garanzia derivante dal ruolo dirigenziale rivestito dalla Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza depositata in data 11.04.202.
In particolare, dopo tutte le battaglie giudiziarie tese ad escludere le responsabilità dell’Ospedale di Cosenza che all’esito del deposito della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Cosenza che condusse l’Avv. Coppa a pignorare a mezzo ufficiale giudiziario l’Ufficio Ticket dell’Ospedale e, addirittura, l’intera mobilia della stanza dell’allora Direttore Generale Achille Gentile per ottenere la corresponsione della provvisionale vergata dal Tribunale Penale di Cosenza, è stata depositata l’ulteriore perizia disposta dal Tribunale di Catanzaro che ha nominato la Prof.ssa Isabella Aquila, Professore Associato di Medicina Legale dell’Università di Catanzaro ed il Prof. Carlo Torti, Professore Ordinario di Malattie Infettive Università “Magna Graecia” di Catanzaro, i quali alle legittime obiezioni del Collegio peritale della Famiglia Ruffolo composto dai Prof. Vincenzo Pascali, Ordinario di Medicina Legale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – Policlinico Gemelli, del Prof. Pietrantonio Ricci, Ordinario di Medicina Legale dell’ Università “Magna Graecia” di Catanzaro e del Dott. Berardo Silvio Cavalcanti, non hanno potuto fare a meno di concludere affermando che: il batterio da serratia marcescens contenuto nella sacca trasfusa al paziente Ruffolo presentava tutte le caratteristiche di patogenicità da se solo sufficienti e necessarie per cagionare la morte e tale infezione, trattandosi di infezione contratta in regime di degenza, ben potendosi definire nosocomiale. Le responsabilità riscontrate sono da considerarsi in termini censurabili della negligenza a carico della Struttura Sanitaria e del comparto addetto alla vigilanza degli emoderivati e tale responsabilità può certamente attribuirsi alla inefficienza della struttura sanitaria e degli organi preposti per vigilare sulla catena di custodia della sacca. Si può dunque affermare che nell’ambito dell’emovigilanza non venivano rispettate le Linee Guida circa la catena di custodia e la sorveglianza circa eventuali contaminazioni. Alla luce della valutazione.
Per tale ragione è chiaro ipotizzare che se non vi fosse stata la grave infezione de quo certamente il sig. Ruffolo non sarebbe deceduto. Tale infezione poteva essere evitata attraverso l’applicazione di corrette misure di sorveglianza delle sacche di sangue nell’ambito di una corretta emovigilanza.
La morte del sig. Ruffolo sia da porsi in nesso causale diretto con l’infezione e quindi con le condotte omissive di mancata vigilanza e sorveglianza delle sacche di sangue infette somministrate e quindi con le condotte omissive di mancata vigilanza e sorveglianza delle sacche di sangue infette somministrate. A nulla sono valse le contestazioni mosse dal Consulente Medico Legale dell’Ospedale di Cosenza, Dott. Ottavio Stefano, che addirittura ebbe a richiedere tardivamente la sostituzione dei periti, poi respinta dal Tribunale di Catanzaro.
In molto semplici parole, alle pesantissime parole espresse dai vari Tribunali, Corti di Appello e Corte di Cassazione in tutte le sentenze della vicenda dello sfortunato Cesare Ruffolo, si aggiungono le considerazioni conclusive dei periti del Tribunale di Catanzaro nel silenzio assoluto dell’Ospedale di Cosenza che, tra l’altro, ha già risarcito per grave infezione identica a quella del paziente Ruffolo  un altro paziente di nome Francesco Salvo, rimasto tra la vita e la morte per oltre 40 giorni, nello stesso periodo del ricovero di Cesare Ruffolo, a causa dell’elevatissima carica batterica contenuta nella sacca. A ciò si aggiunga il fatto che ancora dopo tre anni (nel 2016) un’altra paziente della quale abbiamo pubblicato la storia qualche settimana fa rimase ceca sempre per la stessa infezione da serratia racescens, il cui batterio fu isolato nell’ospedale di Cosenza nell’anno 2016 per ben 35 volte. Si chiede ancora la famiglia Ruffolo: “che fine ha fatto la sanità calabrese?”.
 
                         
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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