REGGIO CALABRIA – In Calabria 1.000 scosse di terremoto in pochi mesi. Tra queste 5 di magnitudo superiore a 5.9 della scala Richter. Una sorta di sciame sismico che durò circa 3 anni a cavallo del 1783. Due violenti maremoti distrussero parte della costa reggina e danneggiarono gravemente quella messinese. Il re delle Due Sicilie Ferdinando IV di Borbone viene informato da una relazione sullo stato dei luoghi elaborata da un gruppo di 13 studiosi della Reale Accademia delle Scienze e delle Belle Lettere di Napoli che per tre mesi viaggiarono tra macerie, tremori e cadaveri. Il primo e il secondo “marimoto” sono descritti nelle Osservazioni fatte nelle Calabrie e nella frontiera del Valdemone sui fenomeni del tremoto del 1783.
Il primo maremoto
Il 5 febbraio uno tsunami e un terremoto colpirono le province di Messina e Reggio in un solo impeto. “Il terreno della pubblica strada andò di tratto in tratto squarciandosi” per “la terra che si apriva, e per le onde, che traboccarono dal mare sulla strada medesima, e per i sassi che piombavano giù dall’alto e ingombravano tutto il sentiero”. I danni maggiori furono causati dal maremoto tant’è che molti luoghi “furono invasi dalla inondazione eppure in essi non accadde il minimo avvallamento”. A Scilla il mare prima si ritirò leggermente per poi traboccare con irruenza. Nella città di Reggio parte della strada pubblica era ormai sottacqua, profonda 35 palmi. Le fenditure del suolo erano tutte parallele e tagliavano interi edifici. I più prudenti contavano 700 morti, oggi l’INGV ne riporta 1.500
Il secondo maremoto
L’area tra Reggio e Messina fu rasa al suolo in meno di 24 ore. A seguire infatti, il 6 febbraio 1783 un altro tsunami colpì le coste siciliane tra Messina e Torre Faro e le coste calabresi tra Scilla e Cenidio. Fu preceduto da una violenta scossa di terremoto registrata alle 7:00 del mattino. Quando gli animi si erano appena calmierati dallo spavento del sisma, si udì un fragore terrificante provenire dal mare. La popolazione era atterrita. Il tumulto delle acque in pochi secondi si è poi abbattuto con ferocia sulla terraferma. Dall’epicentro collocato nei pressi di Scilla il maremoto si estese per più di 6 miglia di litorale.
L’orrore degli tsunami in Calabria
Gli effetti sulla popolazione furono nefasti. L’economia venne annientata. Era un febbraio dal clima inclemente con forte vento, copiose piogge e frequenti grandinate. I cittadini stentavano a trovare riparo mentre la terra continuava a tremare con scosse sporadiche che riaccendevano il terrore che albergava nel cuore dei residenti. Costruirono baracche di fortuna. La rete idrica già carente era devastata e si faticava a reperire acqua. Fame e sete pervasero i luoghi vittime della tragedia. Nelle strade gli accademici documentano i lamenti dei sopravvissuti “rimasti stroppi o feriti” con “la tetra compagnia dei cadaveri insepolti o intrappolati sotto le rovine”. I territori flagellati dalle calamità impiegarono diverso tempo e investimenti per ritornare alla normalità. E oggi le due coste ad elevata sismicità guardano con preoccupazione alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.