L’uomo era nascosto in un bunker realizzato all’interno di un capannone adiacente alla propria abitazione. Latitante dal 2009, Alvaro deve scontare una sentenza a 6 anni e 8 mesi di carcere per associazione mafiosa
Melicuccà (RC) – E’ stato catturato durante un’operazione dei carabinieri realizzata nella Piana di Gioia Tauro il latitante Paolo Alvaro ricercato dal 2009 . L’uomo, 50 anni, è stato trovato nascosto in un bunker realizzato all’interno di un capannone adiacente alla propria abitazione. Paolo Alvaro era ricercato perché deve scontare una sentenza a 6 anni e 8 mesi di carcere. L’ordinanza di custodia cautelare era stata emessa dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Gli vengono contestati i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, procurata inosservanza di pena e riciclaggio.
L’uomo, già sfuggito alla cattura nell’ambito dell’operazione “Virus”, è stato individuato all’interno di un “bunker” sotterraneo in muratura di circa 15 metri quadrati, con accesso tramite botola scorrevole su binari, ricavato nel pavimento di un capannone adibito a rimessa vicino la propria abitazione nel comune di Melicuccà nel reggino. Nel covo è stata rinvenuta anche una corposa documentazione che adesso è al vaglio degli inquirenti. Il blitz che ha portato alla sua cattura è stato eseguito all’alba dai militari del nucleo investigativo di Reggio, insieme allo squadrone cacciatori Calabria e ai colleghi della Compagnia di Palmi. Alvaro, che era disarmato non ha opposto alcuna resistenza. Durante la conferenza stampa, Vincenzo Franzese, comandante del Reparto operativo di Reggio Calabria, ha detto che i suoi familiari, i genitori, due fratelli e una sorella, si sono comunque presi cura di lui per sei anni, vivendo a pochi metri di distanza dal covo nel quale Alvaro si sarebbe rifugiato dal 2009 senza mai uscire.
L’uomo, di 50 anni, ritenuto affiliato alla cosca detta “carni i cani” era già sfuggito all’arresto del 2009, è ritenuto responsabile di aver fatto parte di un’associazione per delinquere di tipo mafioso, che operava nei comuni di Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Cosoleto, Villa San Giovanni, Reggio Calabria ed altri comuni della Piana di Gioia Tauro, con ramificazioni a Roma e Torino e dedita al conseguimento di illeciti profitti e vantaggi attraverso il controllo del territorio e delle relative attività economiche e produttive. Insieme al padre Domenico, storico boss di famiglia, o si sarebbe prodigato per assicurare la latitanza dell’allora capo cosca Carmine Alvaro, fornendogli supporto logistico, rapportandosi con lo stesso per diramare gli ordini agli associati e per il compimento delle varie attività della cosca. In particolare, secondo l’accusa, avrebbe messo a disposizione del boss Carmine la propria masseria nel comune di Melicuccà, dove il latitante aveva trovato rifugio e base logistica e che utilizzava per incontrarsi con gli altri associati per la gestione degli affari della ‘ndrina. Incontri ai quali partecipava lo stesso Paolo Alvaro che avrebbe svolto anche funzioni di vigilanza in favore del capocosca latitante e avrebbe fatto da tramite per il boss e gli altri associati, in particolare per la gestione delle operazioni di riciclaggio di valuta estera.
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