COSENZA – Dopo l’operazione Reset del primo settembre scorso, coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha visto coinvolti imprenditori, colletti bianchi, esponenti della malavita cosentina, al di là dell’esito finale, e dell’accertamento delle eventuali responsabilità, nella città dei Bruzi si torna a parlare di ‘ndrangheta, con una domanda che da sempre ha diviso gli opinionisti del settore: a Cosenza c’è o non c’è la ‘ndrangheta?
In molti, in modo particolare dopo il processo Garden che ha smantellato gli storici clan cosentini, si sono affrettati a spiegare che nell’area urbana cosentina, opera la criminalità organizzata ma non avrebbe nulla a che fare con la tradizionale ‘ndrangheta. Addirittura lo stesso Procuratore della repubblica di Cosenza, Mario Spagnuolo, nell’ottobre dello scorso anno, nel corso di un’audizione in Commissione Antimafia ha affermato che “Cosenza non ha insediamenti ‘ndranghetistici tradizionali e quella che si sta riproponendo oggi è una criminalità organizzata di tipo “gangheristico” aggressivo, estremamente pericolosa, ma che tuttavia non ha i connotati della ndrangheta tradizionale. E’ 416-bis, ma lo è con un altro modo di operare”.
Sarà, ma i fatti fanno pensare al contrario, a partire dal tradizionale traffico di droga, a certi appalti, per finire alle estorsioni ai danni di quasi tutte le attività economiche e commerciali che alla fine sono riconducibili ai soliti personaggi che tra l’altro, stando ai verbali degli inquirenti, hanno il potere di affiliare nuovi aderenti alle loro organizzazioni o addirittura di elevare di livello chi già ne fa parte. Prassi che viene adottata nelle organizzazioni di ‘ndrangheta. A Cosenza manca una locale di ‘ndrangheta solo perché le numerose operazioni di polizia ne hanno impedito nel tempo la costituzione ed il riconoscimento dopo, ma di certo operano personaggi legittimati e riconosciuti dalla ‘ndrangheta di Reggio Calabria, Rosarno o Vibo Valentia.