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Cosenza: morì a 26 anni, condannate Asp e AO. Diagnosi sbagliata e il corpo malconservato in obitorio

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Cosenza: morì a 26 anni, condannate Asp e AO. Diagnosi sbagliata e il corpo malconservato in obitorio

Mario Tarsitano morì per negligenza e imperizia dei medici dell’Asp di Cosenza. Inoltre l’autopsia non fu mai eseguita per il malfunzionamento delle celle frigorifere dell’ospedale dell’Annunziata. Entrambe sono state condannate. Curato con tranquillanti aveva una trombosi venosa profonda

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COSENZA – Le due aziende, sanitaria e ospedaliera, ognuna per la propria responsabilità sono state condannate per la morte del 26 enne Mario Tarsitano. L’Asp, per gravi negligenze ed imperizie da parte dei medici mentre l’azienda ospedaliera, per violazione dell’obbligo di custodia conseguente alla presa in consegna della salma del giovane e per difettuale gestione della struttura dell’obitorio, non in linea con le dovute misure idonee alla corretta conservazione del cadavere. Una tragedia nella tragedia quella dei familiari di Mario Tarsitano che, ora è certo, morì per una condotta difettuale dei sanitari dell’ASP di Cosenza che non effettuarono approfondimenti diagnostici e non diagnosticarono per tempo l’embolia polmonare del giovane, approntando tutte le misure necessarie commisurate ai sintomi, inviandolo immediatamente presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Cosenza e dopo la sua morte non si poté effettuare l’autopsia perché le celle frigorifere dell’Obitorio dell’Ospedale di Cosenza non funzionavano. Un destino terribile per il 26enne che, iniziò a sentirsi male cinque giorni prima del suo decesso, nel 2013, con problemi respiratori misconosciuti da tutti coloro che l’ebbero in cura, non rendendosi conto della trombosi venosa profonda che piano piano stava rubando la sua vita, curandolo con farmaci tranquillanti e come se il paziente fosse stato colpito da un attacco di panico.

La responsabilità dei sanitari nella cura del giovane e il malfunzionamento delle celle frigorifere

Ieri la sentenza del Tribunale di Cosenza dal dott. Giovanni Provazza che ha confermato le responsabilità dei sanitari che ebbero in cura il giovane, affrontando anche il delicato tema del malfunzionamento delle celle frigorifere dell’Ospedale di Cosenza e probabilmente statuendo un precedente giudiziario non di poco conto su sollecitazione del difensore della famiglia Tarsitano, l’avv. Massimiliano Coppa, esperto in colpa medica, ed espressamente riferibile alla lesione del sentimento di pietà per i defunti oltre che della dignità della persona; posizioni soggettive di sicuro rilievo costituzionale che avrebbero dovuto mantenere integro il corpo per l’autopsia disposta dalla Procura di Cosenza, ma che – al contrario – fu accertato dalla Polizia Scientifica di Cosenza non essere così.

La famiglia del giovane, assistita dall’avv. Coppa, ha scelto per la lunga battaglia giudiziaria in sede civile e penale come propri consulenti il prof. Pietrantonio Ricci, Ordinario di Medicina Legale dell’Università di Catanzaro, il prof. Francesco Alessandrini, Ordinario di Cardiochirurgia del Policlinico Gemelli di Roma ed il prof. Vincenzo Pascali, Ordinario di Medicina Legale dell’Università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma e l’Ing. Fabrizio Coscarelli, i quali hanno seguito passo passo tutte le varie fasi dei procedimenti culminati, proprio sulla scorta della peculiarità della vicenda, in un cospicuo risarcimento.

Avv. Massimiliano Coppa - prof. Vincenzo Pascali - prof. Francesco Alessandrini - prof. Pietrantonio Ricci

Avv. Massimiliano Coppa – prof. Vincenzo Pascali – prof. Francesco Alessandrini – prof. Pietrantonio Ricci

Tali motivi hanno indotto il Tribunale di Cosenza a sancire che “…a causa del malfunzionamento dell’impianto di climatizzazione e del guasto della cella frigorifera, la salma del loro congiunto non veniva adeguatamente custodita ed anzi il 18.06.2013, data in cui i consulenti de PM si recavano presso l’obitorio dell’ospedale di Cosenza per eseguire la disposta autopsia, si riscontravano segni avanzati di fenomeni putrefattivi non coerenti con l’epoca dell’avvenuto decesso (circa 72 ore prima). L’Azienda ospedaliera di Cosenza non ha contestato la circostanza in fatto, che tra l’altro emerge dagli atti, ma ha solo evidenziato che è stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere nei confronti dei soggetti responsabili della Struttura. Tuttavia, tale pronuncia, tra l’altro non prodotta in atti, secondo quanto prospettato dall’A.O di Cosenza nella comparsa di costituzione, non ha escluso il dato relativo al malfunzionamento delle celle frigorifere, ma unicamente che tale circostanza non potesse imputarsi all’ing. De Marco.

Alla luce delle emergenze istruttorie relative alle condizioni di malfunzionamento delle celle frigorifere che non consentivano una adeguata conservazione del cadavere, si ravvisa la violazione da parte della Struttura convenuta dell’obbligo di custodia conseguente alla presa in consegna del corpo di Mario Tarsitano; obbligo che si protraeva fino al momento della riconsegna della salma ai congiunti ai fini della sepoltura. Esiste, infatti, nella fattispecie concreta, una responsabilità extracontrattuale, di natura omissiva, in capo all’Azienda Ospedaliera di Cosenza, relativa al deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell’autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico – legali, riconoscimento e trattamento igienico – conservativo. In base a tale norma, pertanto l’Azienda Ospedaliera, presso cui possono essere costituititi gli obitori (art 14), doveva assicurare la conservazione delle salme durante il periodo di deposito.

Il rispetto del defunto, lesa la dignità della persona

Nel caso di specie, la gestione della struttura dell’obitorio non ha posto in essere le dovute misura idonee alla corretta conservazione del cadavere, per come si riscontra dalla relazione dei Consulenti nominati, i quali proprio in ragione dell’inizio di fenomeni putrefattivi, disponevano il trasferimento della salma presso la sala settoria dell’Obitorio del Cimitero di Cosenza. La domanda di risarcimento, in questa sede, fonda le sue ragioni nell’interesse sotteso alla tutela delle spoglie umane ed individuato dalla dottrina giuridica nella pietà per i defunti. In particolare, l’ordinamento penale prevede diverse fattispecie di reato a tutela della particolare estrinsecazione di tale sentimento di pietas, non solo nel culto ma anche e soprattutto nel rispetto delle spoglie umane.

Il bene giuridico violato è rappresentato da un legittimo interesse etico – sociale diffuso, proprio di ciascun membro della collettività, in quanto radicato nell’umanità in ogni epoca storica e cultura, astraendo dalle qualità rivestite dal soggetto allorché era in vita. Nel caso di specie la violazione del dovere di custodia della salma integra una ipotesi di lesione del sentimento di pietà per il defunto della dignità della persona; posizioni soggettive di sicuro rilievo costituzionale e gravemente lese dalla condotta del convenuto, in quanto la comparsa dei segni autolitici e di prematura decomposizione, non ha consentito loro di poter dare l’ultimo saluto al proprio stretto congiunto, subendo con ciò la violazione del proprio diritto inviolabile alla piena estrinsecazione del proprio sentimento di rispetto e di pietas verso la salma del congiunto, al di là di ogni professione religiosa e convincimento etico o filosofico..”.

La grave embolia e l’esame autoptico. Le celle erano del 1968, obitorio sequestrato

L’autopsia venne disposta dalla Procura della Repubblica di Cosenza su istanza della famiglia di Tarsitano. Il decesso del giovane, era riconducibile ad una grave embolia massiva, non diagnosticata e la vicenda fu molto dibattuta anche perché subito dopo il decesso, il corpo diMario Tarsitano fu riposto in una cella frigorifera a disposizione dell’Autorità Giudiziaria non funzionante, in violazione delle più elementari norme di polizia mortuaria e con evidente pregiudizio per la conservazione della salma ai fini dell’accertamento delle cause di morte.

Le celle frigorifere dell’Ospedale di Cosenza erano obsolete perché risalenti addirittura al 1968 e che la loro manutenzione era da considerarsi alquanto difficile in totale assenza dei pezzi di ricambio necessari per assicurare il normale funzionamento dell’impianto frigo di uno degli Ospedali più grandi della Provincia. Tali questioni indussero la Polizia Giudiziaria al sequestro dell’intero obitorio, confermando l’interesse nel garantire per i cittadini di tutta la Provincia di Cosenza un servizio i cui standard qualitativi possono tranquillamente essere riportati agli anni ’60, per come agevolmente risulta dagli atti del processo, in cui la famiglia Tarsitano – assistita dall’avv. Coppa – non si è data per vinta così ottenendo quel riscatto morale soprattutto che molti – con una defatigante attività – si affannarono ad addossare ad altri, lasciando la famiglia Tarsitano con uno strascico di dolore senza misura. Finalmente, dopo una lunga attività difensiva disposta dal pool di legali, medici legali ed ingegneri, si è pervenuti al riconoscimento delle responsabilità poste in capo a chi – per primo – non diagnosticò la grave patologia che condusse a morte il giovane Mario Tarsitano in 5 giorni – situazione questa ancor di più aggravata dalla gestione amministrativa dei responsabili dell’Azienda Ospedaliera che, per ragioni di igiene e sicurezza, avevano l’obbligo di mantenere integro il corpo appartenuto in vita al giovane Tarsitano, con esclusione di ogni responsabilità da parte dei sanitari del Pronto Soccorso del Nosocomio Cosentino che non poterono far altro che constatare il decesso dei un giovane di anni 26 che – probabilmente – se giunto alla loro attenzione in anticipo forse poteva salvarsi.

La famiglia Tarsitano: “nessun risarcimento porterà indietro Mario”

Amaro il commento dei familiari di Tarsitano che hanno precisato come “nessuna somma riconducibile al risarcimento potrà restituire il loro figlio prematuramente scomparso per accertata responsabilità professionale dei medici ASP che l’ebbero in cura, auspicando che questo sacrificio sia valso al buon funzionamento concreto del servizio dell’obitorio dell’Ospedale di Cosenza, attualizzandolo ai tempi di oggi e con macchinari adatti ed adeguati alla domanda del bacino d’utenza, non essendo bastevole per il servizio preposto la sola pitturazione dei muri degli ambienti dell’obitorio per garantire il servizio imposto dalla legge.

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