Area Urbana
La confessione di Marcello Manna: “L’indagine punta alle mie dimissioni, sono accerchiato”
Il racconto inedito del sindaco di Rende: i carabinieri in casa, il tempo sospeso, la libertà violata, Calvino, Borges e quell’inchiesta “basata sule parole”
 
																								
												
												
											RENDE – Il sole in faccia e il tepore di una bella giornata d’ottobre che inonda la stanza, situata al primo piano del Municipio. La vetrata è semiaperta. Marcello Manna respira finalmente a pieni polmoni, assaporando tutto il gusto di una riconquistata libertà: “Siamo alla perenne ricerca della felicità o di qualcosa che le assomigli molto. Poi, all’improvviso, perdiamo la nostra normalità e soltanto in quel momento c’accorgiamo che, in realtà, per stare bene bastava semplicemente continuare a vivere la vita che avevamo fino a un attimo prima”.
Stop. Rewind. Primo settembre. Tre e mezzo del mattino. Il suono del citofono si diffonde tra le stanze avvolte dal silenzio. “Niente di strano, considerato il mio lavoro di avvocato. Era già successo in passato che mi svegliassero nel cuore della notte”. Manna apre la porta e di fronte si trova i carabinieri della Compagnia di Rende. Cercano il sindaco. E non il penalista. Sono cortesi e (forse) imbarazzati. Finisce l’estate e comincia un tempo sospeso. Mentre le pale di un elicottero squarciano l’oscurità del cielo, Marcello Manna scopre di essere coinvolto nell’inchiesta Reset della Dda di Catanzaro. Il procuratore Nicola Gratteri lo accusa di voto di scambio politico-mafioso. La corposa ordinanza (cinquemila pagine e più) finisce sulla sua scrivania. Il sindaco prova a mettere a proprio agio i militari. Scatta la misura cautelare degli arresti domiciliari, insieme alla voglia di capire che diamine stia succedendo.
“Non sospettavo nulla e mi sono sentito catapultato fuori dal mondo e da qualsiasi logica”. La freddezza e la lucidità dell’uomo di legge prevalgono subito. “Sapevo che per almeno venti giorni sarei rimasto in quella condizione, perché è questo il tempo ci vuole prima che l’organo preposto sia in grado di pronunciarsi sulla validità o meno di un impianto accusatorio”. Il resto diventa attesa, dentro una vita che non è più la tua e che fatichi a riconoscere. “Un gesto naturale come quello di aprire la porta di casa e uscire si trasforma in un divieto categorico. Non si può usare il telefono oppure incontrare persone, ad eccezione di quelle che vivono con te sotto allo stesso tetto”.
Durante ciò che resta della notte, prende in mano l’ordinanza e inizia a studiare con la lente d’ingrandimento la parte che lo riguarda. L’elenco delle persone coinvolte è lunghissimo. Il suo nome è affiancato a quello di pericolosi criminali o presunti tali. “Assemblare una quindicina di processi in un unica inchiesta non è esattamente quello che il nostro Codice suggerisce. Mi è sembrata un’idea di politica giudiziaria molto lontana da quella che invece ho io”. Pagina dopo pagina, Marcello Manna è sempre più incredulo. “Scopro che i fatti che mi vengono contestati si riferiscono alla campagna elettorale del 2019. Ma come, per tre anni mi hai lasciato fare tutto quello che volevo, compreso la carica di sindaco, e adesso d’un tratto non posso parlare più con nessuno e devo chiedere il permesso anche per andare a votare?”. Perché, scusi, lei ha votato? “Mi sono fatto autorizzare”. Accompagnato dai carabinieri? “Non è stato necessario. In quel caso, avrei rinunciato”.
Una fuga nella normalità, considerato che la sua (di normalità) aveva cessato di esistere quel primo di settembre: il trambusto della notte, il confronto con gli avvocati, i servizi dei telegiornali dell’ora di pranzo che riferiscono tutto il travaglio di un magistrato al quale la legge Cartabia (tra cui l’affermazione del principio di presunzione di innocenza e la riservatezza dei dettagli del lavoro investigativo) sembra stare evidentemente molto stretta. “Al procuratore Gratteri vorrei dire che la conferenza stampa va convocata per il giudizio e non per l’inchiesta che invece deve rimanere in assoluto silenzio. Sentire soltanto una parte non fa bene alla nostra democrazia”.
Il colloquio s’interrompe. Il telefono del sindaco, rimasto silente troppo a lungo, reclama attenzione. Dopo qualche minuto, il tasto Rec è pronto per un nuovo invio. “Nel mese trascorso agli arresti domiciliari, mi sono riappacificato con una serie di cose che non riuscivo più a fare. Ho letto i romanzi a me più cari di Borges e Dostoevskij, Le lezioni americane di Calvino, le arringhe di Luigi Gullo, i vecchi volumi dedicati all’Inquisizione, convinto come sono che la peste e gli untori siano più attuali che mai”.
Da quando Marcello Manna è tornato in Comune, molte cose sono cambiate. A partire dalla Commissione d’accesso agli atti che, da qualche giorno, ha trovato spazio nella stanza di fianco alla sua. “Analizzeranno gli atti amministrativi e poi decideranno in autonomia senza alcun contraddittorio. E’ un attacco alla democrazia che invece deve essere tutelata”. Esiste il rischio che il Consiglio comunale di Rende venga sciolto? “Teoricamente sì, ma io rivendico la trasparenza della mia amministrazione. Abbiamo interrotto concessioni di beni pubblici che duravano da trent’anni e producevano danni economici per l’intera collettività”.
Non la pensano tutti così. Mentre il sindaco si trovava arresti domiciliari, l’associazione Attiva Rende, che fa capo al consigliere di minoranza Mimmo Talarico, è scesa in piazza per chiedere le sue dimissioni. “Approfittare di un’ordinanza di custodia cautelare per meri fini politici è sbagliato. Sono tante le situazioni di sindaci e presidenti di Regione, penso a Mario Oliverio, indagati e poi sollevati da ogni accusa. Quando mi sono insediato, qualcuno della mia maggioranza chiedeva che il Comune di Rende si costituisse parte civile nel processo che vedeva Sandro Principe imputato nell’inchiesta Sistema Rende. Io risposi che, mai e poi, mai avrei preso quella decisione. Non intravedevo responsabilità penali, ma semplici censure amministrative. Principe è stato assolto e la storia mi ha dato ragione. Che figura avrei fatto io nel chiedere la punizione di qualcuno che invece era innocente?”. Il garbo istituzionale (se è questo il nome corretto) è stato poi ricambiato: quando è toccato a Marcello Manna finire nel mirino della Distrettuale antimafia, Sandro Principe ha preferito tenere un profilo basso. Fino agli auguri formulatigli in pubblico per la revoca della misura restrittiva, arrivata lo stesso giorno in cui il vecchio socialista presentava in un affollato albergo rendese il suo libro intitolato Tre colpi al cuore.
Sia pur da uomo libero, il sindaco di Rende dovrà comunque continuare a difendersi dalle accuse che gli sono cadute addosso. “Molto probabilmente contro la revoca dei domiciliari sarà presentato un ricorso per Cassazione da parte della Procura di Catanzaro. Fino all’udienza preliminare, che deciderà di archiviare o rinviare a giudizio. I tempi sono molto lunghi. Intanto, continuerò a lavorare. Ci sono progetti del Pnrr che vanno oltre la mia persona e riguardano la comunità che amministro”. Presto poi dovrà individuare il sostituto di Pino Munno, assessore ai lavori pubblici, dimessosi all’indomani dell’arresto. “L’ho sentito al telefono soltanto una volta per salutarlo e augurargli di uscire pulito da questa inchiesta. Non so perché abbia deciso di restituire la delega, forse sono stati i suoi legali a consigliargli di compiere questo passo”. E lei, sindaco, perché ha resistito? Perché non ha gettato la spugna? “Io non mi sarei dimesso mai e poi mai. Mi sento accerchiato e credo che alla base di questa indagine ci sia la volontà di ottenere le mie dimissioni. Sono vittima di una ingiustizia molto grave e spero di poterlo dimostrare al più presto”.
Annamaria Artese invece continuerà ad affiancarla nella carica di vicesindaco, anche adesso che il Tribunale del riesame ha confermato gli arresti per il fratello Ariosto? “Non mi pare che ci siano interferenze di alcun tipo da parte dell’imprenditore Artese nei confronti del mio vicesindaco, altrimenti ritorniamo al concetto della peste e degli untori. La responsabilità penale è personale. Per quanto mi riguarda, mi opporrò fino alla fine”.
Pensa che la sua reputazione sia stata danneggiata? “Assolutamente sì. Allo stesso tempo però ho ricevuto numerose attestazioni di vicinanza: l’unione delle Camere penali e tanti sindaci, di tutte le parti d’Italia, per esempio”. Se in questo momento il procuratore Nicola Gratteri fosse seduto qui di fronte a lei, che cosa gli direbbe? “Gli direi che l’inchiesta Reset è basata soltanto sulle parole. Le intercettazioni possono contenere tutto. Puoi raccontare il vero, puoi millantare, puoi far capire che tu chissà chi sei e invece non sei nessuno. Chissà che fai e non fai nulla. Ci vogliono i fatti, non le parole. L’intercettazione nel nostro codice è un mezzo di ricerca della prova e non una prova in sé”.
La battaglia giudiziaria di Marcello Manna è soltanto all’inizio. Per adesso, il calore degli affetti più intimi, gli amici, i colleghi dello studio professionale, i dipendenti del Comune, il lavoro di sindaco sembrano essere tutto ciò di cui ha bisogno. Insieme, s’intende, alla libertà prima persa e poi ritrovata, nonostante qualche ora di ritardo. “Sembrerebbe che la decisione del Tdl sia arrivata la sera prima. A me invece è stata comunicata soltanto il giorno dopo in tarda mattinata. Non si tiene una persona ristretta senza motivo, neanche per una sola notte in più. Un errore? Vedremo. Se il motivo fosse diverso, si tratterebbe di un fatto gravissimo”.
 
                         
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
                                 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
Social