L’uomo dei Perna per anni ha vissuto indisturbato in Sud America sotto il falso nome di Zanardi.
COSENZA – Il clan Perna-Pranno da una parte, il gruppo Pino-Senza dall’altra. In mezzo i cadaveri, di sodali e non, sacrificati in nome di una guerra conclusasi con un’apparente pax mafiosa. Mario Baratta nel conflitto per il controllo del territorio bruzio si schiera con i Perna. Dopo anni finisce a giudizio nel maxiprocesso Garden per l’omicidio di Mariano Muglia avvenuto nel 1983, mentre il reato di associazione è già prescritto. Condannato per gli omicidi di Giovanni Drago e Francesco Scaglione nel processo Missing trascorrerà un lungo periodi di latitanza in Brasile sotto falso nome. Baratta si fa chiamare Mario Zanardi quando viene condannato in contumacia all’ergastolo per l’uccisione di Muglia. Arrestato in Sud America evade dal carcere per poi essere nuovamente ammanettato e rispedito in Italia con l’estradizione. Le sentenze a suo carico vengono impugnate e il processo arrivato in Cassazione è da rifare. Ieri si concluso il primo grado di giudizio presso la corte d’assise del Tribunale di Cosenza che ha emesso sentenza condannando Baratta a quattordici anni di reclusione. Una pena che però l’ex latitante ha già scontato e che, paradossalmente, ne sancisce formalmente la sua libertà. Dei 151 imputati del maxiprocesso Garden l’ultrasessantenne, noto per le sue abilità nel guidare ad alta velocità ed occultare con creatività i cadaveri, era l’unico a non essere ancora giudicato in via definitiva.