Area Urbana
La Fontana di Giugno e le sue gemelle in Italia: da oltre un secolo e mezzo è la storia di Cosenza
COSENZA – Nelle torride estati cosentine, l’acqua fresca che sgorga dalle sue bocche, ha dissetato migliaia di cittadini nel corso degli ultimi 169 anni. Parliamo della fontana di Giugno, la fontana monumentale in ghisa, intitolata l’été (l’estate), opera dell’artista francese Moreau e tra i simboli più amanti della città di Cosenza. Ma in pochi sanno che la celebre fontana rinascimentale, situata da inizio 900 su Corso Mazzini, oggi corso pedonale della città e nella sua parte finale diventata piazza Carratelli, non solo possiede una gemella a San Pietro in Guarano, ma ce ne sono delle altre sparse in tutta Italia. Infatti non è unica, ma prodotta in serie con esemplari identici che si trovano in vari comuni del nostro Paese come ad Ortona dei Marsi (AQ), Matrice (CB), Fornelli (IS), Alife (CE), Terracina (LT).
L’opera si inserisce nel novero delle prime produzioni seriali dell’arte monumentale e decorativa realizzate da Mathurin Moreau che si formò presso un’Accademia dell’Arte francese istituita a Roma. I francesi avevano il primato al mondo dell’impiego dei metalli e della ghisa nell’architettura e nell’arte decorativa. Il primo prototipo in marmo della Fontata di Giugno fu esposto nel 1855 alla “Exposition Universelle” di Parigi. Una volta realizzata venne esposta a Parigi nel 1867.
Dalla piazza Piccola a Corso Mazzini
La fontana fu eretta lungo Corso Telesio, nel largo della Piazza piccola (la piazza dei pesci), nel cuore della città storica. La fontana, per oltre 50 anni, venne utilizzata da tantissimi cosentini con lunghe file di persone che giornalmente si rifornivano di acqua. Successivamente, anche per problemi di spazio durante proprio la vendita dei pesci, venne sostituita con una fontana meno ingombrante e da Corso Telesio la Fontana di Giugno si ritrovò davanti la Caserma dei carabinieri, a fianco la chiesa della Madonna del Carmine, costruita nel 600 sulle rovine di un precedente Monastero dei Carmelitani e che oggi affaccia su Piazza XX Settembre.
I più anziani ricorderanno anche le due postazione di lustrascarpe che in dialetto venivano chiamati i “pulimmi”. Infine, nel 1927, la fontana venne nuovamente spostata per far spazio al monumento di Telesio, che oggi si trova in Piazza XV Marzo davanti il Rendano e la Villa Vecchia. La fontana trovò la sua definitiva collocazione alla fine di Corso Mazzini, oggi piazza Carratelli. Anche qui, i più anziani, ricorderanno che nei pressi della fontana c’era la famosa bancarella di “caramelle di Ciccillo” al gusto di anice e non solo. Lavorava la pasta delle caramelle su una lastra di marmo e poi le divideva e le confezionava. Ma davanti la fontana c’era anche il mitico “Ciccio u cravattaru” famoso tifoso del Cosenza.
Fontana di Giugno o di Giuno?
Ancora oggi in molti si chiedono se sia la fontana si chiamo di “Giugno” o di “Giuno” sostenendo che la statua che si trova sopra la fontana rappresenti Giunone. In realtà la fontana, come spiega bene nella sua opera lo scultore, pittore Alessandro Parisi, è Giugno. Raffigura un giovane efebo che rappresenta l’estate. Spiega il compianto professore: “l’agile corpo è nobilitato dalle vesti all’antica, la corta tunica sapientemente modellata in effetto “bagnato” (aderente al corpo) e la clamis (mantellina) pendente come di consueto, dalla spalla sinistra e fissata con borchia sulla destra.
Egli impugna, in presa d’appoggio un falcetto, con la destra accostata al fianco, il braccio sinistro in estensione, stringe l’estremità di un altro utensile; è un rastrello, appena riconoscibile per i suoi rostri, posti a terra, “dignitosamente” nascosti tra il fogliame del voluminoso fascio di grano, deliziosamente descritto nelle sue spighe, posto all’indietro come a sostegno della figura e su cui, specie a sinistra, ricadono i lembi falcati della clamide con ampi piegoni a “cannone” e bei risvolti”.
“Tutta la magia della statuaria classica è riproposta nella scattante figura della ponderata definizione degli equilibri, delle sue masse, alla leggera “massa d’appoggio” sull’anca, a quel movimento potenziale suggerito abilmente un po’ ovunque, dalle lievi torsioni del busto sul bacino, della testa e delle agili gambe, canonicamente l’una in posizione di sostegno dell’intero corpo… nello schiacciamento plantare del bel piede; l’altra leggermente flessa instabile e pronta ad abbandonare quella stasi provvisoria che pur garantisce con la sola “presa” digitale del piede flesso sulla base appena ondulata, irrealistico terreno di lavoro, privo di zolle o sterpi di taglio…
Vana è la ricerca del rapporto rasserenante dello sguardo, esso è come tradito e compromesso dagli occhi inanimati, senza pupille, come di un Kaùros arcaico, e perciò privo di quell’anima che pur vorrebbe affiorare nell’insistente accademica ricerca delle formule e dei canoni degli antichi modelli, prodotti, irripetibili in esemplari “unici” ma ora qui congelati e clonati nella “ghisa di serie”.
Social