Donata Bergamini: «Denis amava il calcio, Cosenza e la sua gente. Un ergastolo lungo 34 anni»

In aula la testimonianza della sorella di Bergamini: «all’epoca anche un cieco avrebbe visto che non si trattava di suicidio. Quel magistrato non ha voluto raccontare la verità» 

COSENZA – Arriva dopo 34 anni, in Corte d’Assise a Cosenza, la testimonianza di Donata, sorella dell’amato calciatore rossoblu, Denis Bergamini, morto il 18 novembre del 1989 a Roseto Capo Spulico. Assente in aula l’unica imputata Isabella Internò, accusata di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e dai motivi futili. È durata oltre quattro ore la testimonianza di Donata Bergamini che all’uscita dal tribunale ha rilasciato poche parole: “ricordare in aula quei momenti pieni di dolore non è stato per nulla facile. Oltre a quello per la perdita di mio fratello, c’è un dolore grande che ha portato me e la mia famiglia all’ergastolo per quel magistrato che non ha voluto scrivere la verità“.

L’ultimo giorno insieme a Denis

Donata in aula ricorda l’ultimo incontro con il fratello: “l’ultima volta che ho visto Denis è stato lunedì 13 novembre 1989 dopo la trasferta di Monza. Era il compleanno di mia figlia Alice e mio fratello venne a casa nel pomeriggio. Parlammo del più e del meno: il Cosenza, la ripresa dell’infortunio e poi Isabella“. Su di lei – continua la teste – Denis fu diretto: “me la ritrovo ovunque. La definì come l’attak, appiccicosa“.

“La sera andammo a mangiare a casa dei miei genitori. Eravamo seduti a tavola quando squillò il telefono. Mi padre, eravamo a casa sua, andò per alzarsi ma fu bloccato da Denis: ‘no, è mia’. Ho avuto come la sensazione – dice Donata – che aspettasse quella telefonata. La conversazione durò poco”. Donata non sentì il contenuto della chiamata ma le rimase impresso solo il “ciao” inziale. Denis conosceva l’interlocutore. Quando tornò a tavola, il suo viso era rosso paonazzo e delle gocce di sudore solcavano il suo volto. Mio padre – dice la donna alla Corte – lo invitò a togliersi il maglione ma mio fratello rispose: ‘non è per il caldo, sono altri i problemi’. Non abbiamo mai saputo chi, quella sera, chiamò Denis”.

La telefonata e la morte del calciatore

“Ero a casa di amici quel 18 novembre dell’89. Il mio ex marito tardava ad arrivare. Quando lo vidi entrare aveva un colore bianchissimo e disse: ‘Donata preparati perché dobbiamo partire. Denis ha avuto un incidente’. Delle Vacche (l’ex marito di Donata ndr) aveva ricevuto la notizia dai genitori del portiere Brunelli. Così precipitosamente la Bergamini andò a casa, fece le valige, passò a prendere i genitori e partì alla volta di Cosenza. In macchina gli animi era inquieti e il padre di Denis continuava a ripetere “tanto non lo rivedremo più”.

Insospettiti da quella frase, i quattro si fermarono ad Argenta per capire cosa Domizio sapesse più di loro. A quel punto disse la verità: “Denis si è buttato sotto un camion e con lui c’era anche Isabella Internò.  Dentro di me – continua il suo racconto Donata – c’era la speranza di arrivare in Calabria e trovare mi fratello vivo. Ci sembrò tutto strano. Troppo strano. Abbiamo fatto il viaggio ricordando ciò che era successo il lunedì precedente. Quella telefonata, Isabella Internò”.

L’arrivo in Calabria e l’incontro con il brigadiere Barbuscio

Dopo 900 chilometri la famiglia Bergamini arrivò nella caserma di Roseto Capo Spulico, ad accoglierli il piantone: “dovete attendere ci disse. Ci lasciarono – racconta commossa Donata – oltre un’ora in una stanzetta perché ‘il brigadiere Barbuscio doveva farsi la barba’. Al suo arrivo, nonostante la mia insistenza, disse che avrebbe parlato solo con mio padre. Il loro colloquio – tutto privato – durò pochi minuti”.

La sorella del calciatore ricorda dettagliatamente quei momenti. Il brigadiere disse che Denis si era buttato sotto un camion e trascinato per 60 metri. Domizio uscì da quella stanza con in mano un busta gialla e l’orologio che indossava Donato. Presi in mano l’orologio di mio fratello, lo guardai e vidi che funzionava. Lì ebbi il primo sospetto – confessa Donata alla corte – ci hanno detto che il suo corpo è stato trascinato per 60 metri, com’è possibile che l’orologio – che aveva al polso – funzioni ancora?

La famiglia Bergamini sulla piazzola di Roseto

Donata, già all’epoca insospettita dalla dinamica dei fatti, chiese a Barbuscio di essere accompagnata insieme al padre sul luogo dell’incidente. Il brigadiere, in un primo momento, non era intenzionato ad accompagnare padre e figlia sul luogo della tragedia; di fatto disse al piantone: “questi vogliono andare sulla piazzola”.

“Uscimmo da quella caserma e all’esterno vedemmo che c’era la Maserati parcheggiata ma, in quel momento, non facemmo attenzione ai dettagli. Seguimmo la camionetta dei carabinieri e arrivammo sulla piazzola. Quello che ci avevano detto non corrispondeva a quello che l’asfalto raccontava. Denis non poteva essersi suicidato. La pioggia quella notte scese copiosa. C’era tanto fango (un dettaglio da tenere a mente ndr)“.

Il sopralluogo, conferma Donata, è stato fatto alla luce del giorno ma a terra non vedemmo niente, nessuna traccia. Domizio, la figlia e il marito tornarono poi in caserma. Lì, rividero la Maserati soffermandosi questa volta, su un particolare dettaglio: “l’auto era pulitissima. Anche le ruote erano tirate a lucido. Ma com’è possibile che gli pneumatici non fossero sporchi di fango? Ci sembrò strano”.

Il riconoscimento del corpo 

Si ritorna in aula, dopo una breve pausa chiesta dalla stessa Donata “fa male ripercorre quei giorni, ho bisogno di due minuti“. La testimonianza riparte dal momento del riconoscimento del corpo di Denis. All’obitorio c’erano Ranzani e Serra. Furono proprio loro a vedere per primi il cadavere di Bergamini. “Avevamo timore – considerando i racconti sull’incidente – di vedere il corpo di mio fratello straziato. E invece ci dissero che era intatto. Dopo essere stato trascinato per 60 metri come faceva ad essere intatto?.Eppure così fu. Allora entrai anche io a vedere. Denis sembrava dormisse. In volto non aveva nulla se non una macchia larga quanto una moneta, sulla tempia. L’infermiere non ci faceva toccare il corpo che era coperto da un lenzuolo”.

Fu Ranzani a dire: “qui serve un’autopsia. Donata racconta alla corte che il padre, scosso dalla tragedia, voleva lasciare la Calabria: “l’autopsia la faremo a Ferrara”. Domizio non si fidava più di nessuno.

Il viaggio a Londra per abortire 

I carabinieri restituirono gli effetti personali di Denis tra cui il portafogli con all’interno un bigliettino della clinica londinese dove Isabella Internò abortì al quinto mese di gravidanza.

“La Internò non aveva intenzione di tenere il bambino – spiega Donata – Denis invece disse ‘è lei a decidere ma se è mio lo riconosco’. In quell’occasione provai a convincere Isabella a proseguire la gravidanza visto che a 5 mesi e mezzo un bimbo è praticamente già formato. Ma lei continuava ad urlare: ‘tuo fratello non mi sposa’. Ed era vero. Lui non voleva sposarla e aveva anche dubbi sulla paternità del figlio“. Donata racconta di aver chiamato a Torino la zia di Isabella, sorella della mamma, per risolvere la situazione del bambino. La donna rispose: “qui è un disonore, la dovrebbe portare all’altare“. La questione dell’aborto avvenne nel 1987 e non nell’88 come in passato dichiarò la stessa Internò”.

Il giorno del funerale di Denis

“Nel giorno del funerale – spiega Donata alla Corte – il mio compito era quello di stare vicino alla Internò il più possibile. Mio padre voleva che capisse la vera dinamica dell’incidente. Lei in chiesa, era appoggiata alla bara di Denis e mi madre disse ‘dovrei stare io sulla bara di mio figlio. La Internò anche in quell’occasione ripeteva, come un disco, sempre la stessa versione. Quando chiedevo dettagli lei ricominciava la storia dall’inizio”.

La famiglia Internò al Motel Agip e le domande di Donata

“Dopo il funerale, la Internò con il padre e la madre vennero al Motel Agip di Cosenza. Isabella – racconta ancora Donata – disse a mio padre che Denis aveva mostrato interesse a lasciare il calcio per trasferirsi in un altro Paese e che prima di buttarsi sotto il camion disse: ‘ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo’. Non credemmo alla sua versione. Più volte chiesi alla Internò di darmi particolari o spiegarmi il perché di quanto accaduto, ma lei mi ripeteva sempre la solita cosa non aggiungendo nulla. Chiesi poi se era stata lei a telefonare a Denis quella sera del 13 novembre. Alla mia domanda rispose però in modo netto e deciso il padre “perché doveva essere lei, no non era lei”.

Donata a Castrovillari con il procuratore e le domande sul suicidio 

Roberta Alleati, una ragazza di Russi, dopo alcuni giorni dalla morte di Denis scrisse alla famiglia Bergamini raccontando di una telefonata che il calciatore le fece prima di morire. Pare che Denis avesse detto alla donna che qualcuno gli voleva male. La missiva fu portata dalla stessa Donata alla Procura di Castrovillari, e Roberta Alleati venne convocata in Calabria. A Castrovillari andò Donata e suo padre: “ebbi un confronto animato con il procuratore, perchè insisteva nel chiedermi se mio fratello si fosse suicidato per l’aborto, la droga o il calcio scommesse? Risposi che non si era suicidato, che non vendeva le partite e che non si drogava”.

“Isabella Internò voleva la Maserati di Denis”

“Dopo il funerale non l’abbiamo più rivista, – racconta ancora Donata alla corte -. Mi girai e non la vidi più. Ci telefonò dopo poco, dicendo che si era dimenticata di dirci che Denis voleva che l’auto di mio fratello, la Maserati, rimanesse a lei. Mio padre le disse: “non stai raccontando la verità, se mi dici com’è andata di Maserati te ne regalo due”. A quel punto – conclude Donata – Isabella Internò rispose: “lo dovranno dimostrare che non ho detto la verità“.

La testimonianza di Donata continuerà il prossimo 31 marzo.

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