Paziente ricoverato sulla barella. La Pet aspetta che la lettiga si liberi

COSENZA – Malasanità. Ennesimo capitolo di una storia già raccontata. Mille volte. Ancora una volta la luce dei riflettori della cronaca, accende il suo interesse su

un nuovo caso di malasanità, un caso che, trova ancora il suo epicentro, nell’ospedale dell’Annunziata, bravo a gestire patologie e diagnosi, meno a trovare una “cura” per guarire carenze organizzative e gestionali. La nuova storia, destinata come la prassi impone, si consuma davanti alle porte d’ingresso del nuovo pronto soccorso. Seppur inaugurato diverse settimane, con una manifestazione in pompa magna, organizzata per tagliare il nastro, non è stato trovato, ancora, il modo di tagliare polemiche ed intoppi. Con la preziosa collaborazione della collega Katia Grosso, cronista impegnata fattivamente nella ricerca di notizie e perfetta interprete del giornalismo d’inchiesta, utilizzando il malessere dei protagonisti di questo caso di malasanità, vi raccontinao quello che è successo. La storia in questione, racconta di un paziente bloccato per oltre due ore, in attesa di attendere il suo turno. La cronologia dei fatti, ci porta alla tarda serata di domenica, quando le lancette dell’orologio segnano le 22. Un’ambulanza, a sirene spiegate, si presenta nel piazzale antistante l’edificio del Dea (acronimo di Dipartimento d’emergenza e accettazione, ndr). A borso dell’unità mobile di soccorso, c’è un paziente, coricato sulla barella, ed in consizioni di salute non buone. Il paziente, racconta Katia Grosso, utilizzando come canovaccio della storia, la trama scritta sulla scheda medica, è un anziano, arrivato al pronto soccorso, con lancinanti dolori al torace. L’equipe medica, di servizio alla centrale operativa del 118 di Cosenza, predispone, al fine di monitorare meglio il quadro clinico del paziente, l’invio sul luogo dell’eumergenza, di un mezzo particolare. L’equipaggio a bordo, è altamente professionale, c’è anche un medico specializzato. Giunti in ospedale, l’equipe medica del 118, consegnas, come da protocollo, il paziente alle cure dei medici di turno del pronto soccorso, illustrando agli stessi le condizioni dell’anziano. I medici del pronto soccorso, dopo aver effettuato tutti i controlli richiesti dai loro protocolli professionali, dispongono il ricovero dell’anziano. Ma è qui che inizia il giallo. Già, perché a quell’ora (all’incirca una ventina di minuti, dopo lo scoccare delle 22) tutti i posti letto sono occupati. Unica cosa da fare, nell’attesa che l’intricata matassa si sbrogliasse, è stata lasciare lo sfortunato signore sull’unico “posto letto” disponibile in quel momento: la barella su cui era stato fatto sdraiare dall’equipaggio dell’ambulanza. Naturalmente questa scelta obbligata ha costretto il mezzo di soccorso a non spostarsi dall’ospedale, lasciando così scoperta la postazione originaria e il suo ruolo fondfamentale: postazione di emergenza territoriale. Uno “sgarro” al protocollo assistenziale, soprattutto in una provincia come quella cosentina, dove, e questo è un problema con cui la sanità fa i conti da anni, le ambulanze dell’Azienda sanitaria sono poche e parecchio datate, troppo spesso malandate e ingolfate di chilometri e ancora più spesso “rimesse” in funzione con una messa a punto accelerata, facendo di necessità virtù. Il blocco dell’ambulanza ha generato, com’era facilmente prevedibile, qualche istante di nervosismo nel personale coinvolto: se fosse accaduto qualcosa di grave, loro non si sarebbero potuti muovere a meno di abbandonare il paziente su una sedia del nuovo Dea. Lasciandolo in “braccia” al destino. Nel frattempo, in pronto soccorso è giunta una seconda ambulanza, questa volta con le insegne di un gruppo di volontari e soprattutto non medicalizzata. Ma il risultato non è affatto cambiato: anche in questo frangente, il paziente ha dovuto aspettare che si superasse l’imbarazzante stallo. Entrambi i veicoli attrezzati per il soccorso sono stati “liberati” ben due ore e mezzo dopo, cioè quando gli orologi dell’Annunziata segnavano mezzanotte e quaranta minuti. Troppi per gestire un’emergenza. Troppi per garantire l’adeguata assistenza ad un paziente, colto da un sospetto attacco cardiaco, decisamente troppi per una sanità chiamata ad accelerare i tempi nella gestione delle visite e dei soccorsi e non a dilatarli, sfidando, con la vita dei pazienti, la famelica voracità della signora morte. Rimasta a digiuno. Per fortuna.

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