Neonata in ipossia cerebrale: Asp di Cosenza condannata a risarcimento milionario

Per il tribunale questa “malpractice” medica avrebbe causato delle conseguenze nefaste alla neonata, e segnatamente l’ipossia celebrale

COSENZA – Caso di malasanità. Il Tribunale di Cosenza condanna l’Asp di Cosenza al risarcimento dei danni in favore della piccola Francesca (nome di fantasia) e dei suoi familiari: un risarcimento di oltre un milione e settecentomila euro.

“Da questa e da altre vicende emerge come per la risoluzione delle problematiche organizzative e strutturali della sanità calabrese sia necessaria un’energica e immediata sferzata. Ingiustificabile che in un presidio ospedaliero non sia funzionante l’emogasanalizzatore, indispensabile per una situazione critica. All’epoca il sistema, a tutt’oggi inefficiente, aveva perfino consentito al semplice pediatra d’assolvere il compito spettante al neonatologo, per quanto ulteriori aspetti deficitari affiorano da questo caso, partendo dal tempo impiegato per decidere se trasportare o meno la neonata presso il presidio ospedaliero di II livello (Crotone), ubicato a soli 50 km., la mancanza di un’ambulanza dedicata a fronteggiare difficoltà respiratorie e l’assenza di un anestesista-rianimatore a supporto della piccina durante il tragitto”. Sono queste le parole dell’avvocato Egidio Tucci sulla decisione del Tribunale di Cosenza.

La vicenda

Si tratta della vicenda di una bimba nata nell’ospedale di San Giovanni in Fiore e che secondo i periti subì alla nascita una ipossia celebrale che le avrebbe provocato un gravissimo danno neurologico e un’invalidità permanente dell’80%. Tucci spiega come a distanza di anni dalla definizione del procedimento penale a carico dei neonatologi, assolti con formula ampia dal tribunale bruzio, i genitori di Francesca, costituiti in quel processo come parti civili, si erano rivolti a lui per un parere, sebbene delusi e senza speranza. Per loro doveva ritenersi definita la controversia e comunque ormai prescritto il diritto al risarcimento dei danni patiti. Convinti da terzi che si applicasse la prescrizione quinquennale e che il riesame della colpa medica non fosse riproponibile dopo quella sentenza assolutoria, si erano rassegnati infatti a non poter più avere giustizia.

Tucci segnalò però che non era ancora maturata la prescrizione civile, in quanto decennale e non quinquennale, trattandosi di responsabilità contrattuale e non aquiliana, ipotizzando quindi di riaprire il caso in sede civile, non convinto della motivazione assolutoria. Si accertò poi che dal fascicolo del processo penale erano sparite le schede ecografiche originali, mentre le fotocopie, poi acquisite al loro posto, presentavano un artefatto tecnico, in particolare l’apparente interruzione del flusso ombelicale. Da qui il giudice penale, sulla scorta delle conclusioni tratte dal perito, aveva assolto i neonatologi, ritenendo i danni verificatesi in utero. In realtà si sarebbe trattato di una macchia di toner finita sulle fotocopie delle schede ecografiche, presente sul versante dell’onda sistolica.

Solitamente, però, l’interruzione del flusso ombelicale (cosiddetto invertito o retrogrado) appare in corrispondenza dell’onda diastolica e non di quella sistolica. Da qui l’immediata diffida ad adempiere inviata all’Asp di Cosenza, che interrompeva la prescrizione (mancava solo un mese alla scadenza del termine), e l’atto di citazione notificato ad altri cinque convenuti.

Dopo 33 udienze, due consulenti Tecnici d’Ufficio(C.t.u) che escludevano la colpa medica ma non esaustive per il tribunale civile cosentino, altri due C.t.u. ricusati dall’avvocato Tucci, il Giudice Istruttore (Antonio Giovanni Provazza), vista la complessità medico-legale, aveva optato per un collegio peritale composto da esperti provenienti da Roma (i dottori Albarello, Di Iorio e Dotta).

“I consulenti tecnici delle parti hanno diversamente riconosciuto una responsabilità dei sanitari della struttura di San Giovanni in Fiore per non avere proceduto a mantenere dei parametri vitali stabili attraverso l’intubazione, ovvero alla ventilazione assistita (anche con il solo pallone) della minore, senza un accesso venoso, oltre a far emergere dei deficit nel modello organizzativo del trasporto neonatale”, si legge nella sentenza.

Sentenza civile – pubblicata da alcuni giorni – che riporta anche la motivazione: “Appare evidente, che l’ossigenoterapia praticata dai sanitari della struttura del San Giovani in Fiore non sia stata efficace a contrastare lo stress respiratorio insorto alla nascita, tanto che il quadro clinico riscontrava un peggioramento delle condizioni di salute. In tal senso, difatti, … alla nascita (ore 11:50) presentava una lieve depressione cardio-respiratoria con un valore dell’Indice di Apgar al I minuto di 5 che, prontamente, è poi risultato nella norma al V minuto (7), tuttavia dopo circa venti minuti (cfr. cartella clinica Bambino Gesù di Roma), le condizioni … peggiorano con la comparsa di un quadro clinico di insufficienza respiratoria caratterizzato da alitamento delle pinne nasali e rientramenti intercostali, il che conduce a ritenere che il trattamento iniziale, seppur consentiva una breve ripresa delle condizioni cliniche al V minuto (APGARG), non comportava una stabilizzazione dei parametri ed anzi, un peggioramento graduale degli stessi, il che mostra l’insufficiente e inadeguato supporto che, diversamente, a quel punto richiedeva una maggiore incisività attraverso una ventilazione assistita, tenuto anche conto dei livelli di saturazione “gravi” (70%)”.

 

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