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Parola fine sulla nascita di Casali del Manco. Il Consiglio di Stato respinge il ricorso contro la fusione
ROMA – Parola fine sul costituito Comune di Casali del Manco, nato nel 2017 a seguito del processo di fusione di cinque Comuni della Presila dopo un referendum: Casole Bruzio, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo, Trenta. A Spezzano Piccolo però, avevano vinto i “no” e per questo un centinaio di cittadini avevano avviato un’azione legale evidenziando alcune illegittimità che avevano caratterizzato l’intero percorso conclusosi con l’emanazione della legge regionale 11/2017. La quinta sezione del Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso contro la fusione e la successiva nascita del Comune di Casali del Manco, rappresentato in giudizio dall’avvocato Andrea Borsani del Foro di Cosenza. Anche il Tar della Calabria, con la sentenza del 2021, aveva dichiarato il ricorso in parte inammissibile, in parte irricevibile, rigettandolo per il resto. Contro la sentenza del Tar era stato proposto ulteriore ricorso al Consiglio di Stato.
I ricorrenti avevano denunciato in particolare l’illegittimità dell’intero iter procedimentale, al tempo avviato dai Comuni coinvolti nel processo di fusione, sostenendo l’illegittimità delle delibere consiliari con le quali i cinque Comuni avevano approvato l’attivazione del procedimento di fusione. In particolare sostenevano che “le delibere sarebbero carenti della relazione illustrativa e della proposta di legge redatta in articoli, così come espressamente previsto dall’art. 13 della Legge Regionale n. 13 del 1983, inficiando la procedura referendaria.
Per i ricorrenti sussisteva, l’inammissibilità della fusione perchè “tra la dichiarazione di esecutività della prima e l’assunzione dell’ultima deliberazione consiliare dei Comuni coinvolti doveva intercorrere un lasso di tempo non superiore a sette mesi“. Nella fattispecie, la delibera comunale di Serra Pedace recava la data del 21.11.2013 ed era immediatamente esecutiva, mentre l’ultima di Spezzano Piccolo era stata approvata il 15.6.2014 e successivamente integrata in data 8.9.2014. “Pertanto il procedimento si sarebbe dovuto esaurire con una dichiarazione di improcedibilità da parte della Regione Calabria.
Inoltre, i cittadini lamentavano la irregolarità dell’iter di formazione del consenso popolare, “contestando alla Regione Calabria di non avere consentito a tutti gli aventi diritto al voto per le elezioni amministrative comunali di poter manifestare il loro consenso/dissenso pur facendo tutti comunque parte della comunità sociale direttamente interessata alla fusione de qua, avendo la Regione indebitamente precluso l’accesso al referendum di detti soggetti nonostante fossero iscritti nelle liste elettorali comunali, prevedendo invece un elettorato attivo corrispondente a quello per le elezioni al Consiglio regionale”. Inoltre, “la Regione Calabria avrebbe perfezionato la fusione nonostante che nel Comune di Spezzano Piccolo si sia registrata una volontà prevalentemente contraria alla fusione” ovvero avessero vinto i No.
Scrive il Consiglio di Stato nella sentenza “per pacifica giurisprudenza, che come tale non richiede puntuali citazioni, il ricorso che non consenta di individuare l’oggetto della domanda, e in particolare, ove si tratti di un ricorso impugnatorio, di capire quale sia l’atto impugnato, risulta inammissibile, perché molto semplicemente non è chiaro su cosa il Giudice si dovrebbe pronunciare. Appare evidente, nella fattispecie, la disarmonia delle prospettazioni difensive proposte dai ricorrenti, che articolano argomentazioni avverso provvedimenti non oggetto di specifica impugnazione, al fine di supportare il ragionamento logico seguito per sostenere le critiche ad altri atti invece specificamente precisati nell’atto introduttivo della lite come destinatari delle denunce, sicchè non è dato comprendere se il dilungarsi nella citazione di altri provvedimenti amministrativi non espressamente impugnati, ed avverso ai quali non sono stati dedotti specifici vizi, sia espressione della volontà di critica diretta, oppure rappresentazione di tecnica argomentativa.
“Con il ricorso introduttivo gli appellanti, inoltre, si sono limitati impugnare il verbale del 6.4.2017 della Corte di Appello di Catanzaro, Ufficio Regionale per il referendum che riporta l’esito del referendum consultivo, ma hanno omesso di impugnare, nei termini, il decreto del Presidente della Giunta regionale n. 7 del 17 gennaio 2017, con cui è stato indetto il referendum consultivo avente ad oggetto ‘La fusione dei Comuni di Casole Bruzio, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo e Trenta’. Come precisato dal Collegio di primo grado nella sentenza impugnata, le delibere del Consiglio regionale di indizione di referendum consultivi assurgono ad atti amministrativi e non politici, le quali vanno impugnate con gli ordinari mezzi di gravame dinanzi al giudice degli interessi legittimi, “né possono ascriversi alla categoria degli atti di natura legislativa, non essendo dotati di quella capacità, tipica invece del referendum abrogativo, di immediata incidenza, con effetto caducante, su di un atto di natura legislativa”.
Si legge ancora nella sentenza: “anche le censure prospettate avverso alle deliberazioni del Consiglio Regionale della Calabria n. 132 del 1 agosto 2016 e n. 151 del 2016, con le quali si è stabilito di sottoporre a referendum consultivo il progetto di legge n. 96/10 di iniziativa dei Consiglieri Regionali Romeo e Giudicendrea non sono ammissibili, atteso che le suddette delibere non sono state impugnate, e neppure sono state impugnate le delibere consiliari dei Comuni interessati al progetto di fusione”.
Il Collegio, tenuto conto che il ricorso introduttivo è in parte inammissibile e in parte improcedibile, rileva l’irrilevanza e manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, nonché della domanda di rinvio pregiudiziale, atteso che non è consentito, nel presente giudizio, a questo Giudice, esprimere un controllo di legittimità delle determinazioni dell’Amministrazione nella indizione del referendum consultivo, e neppure la verifica della fondatezza delle denunce sulla regolarità dell’espletazione, con riferimento al quadro normativo di riferimento e i criteri legislativamente stabiliti per i provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge dunque l’appello.


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