Italia
Vittime della Uno bianca, esposto ai pm: «depistaggi organizzati nei corpi di Stato infedeli»
BOLOGNA – Affermare che la banda della Uno bianca era solo “un gruppo di rapinatori sanguinari annidati nella Questura di Bologna significa violare la memoria”. E’ su questo presupposto che alcuni parenti delle vittime del gruppo criminale, 23 morti e oltre 100 feriti tra il 1987 e il 1994, depositano un esposto di 250 pagine alle Procura di Bologna, Antiterrorismo e per conoscenza a quella di Reggio Calabria (che indagò sulla Falange Armata) chiedendo di riaprire le indagini: la tesi è che ci siano state e vadano accertati mandanti, ulteriori complicità e coperture, anche negli apparati dello Stato.
L’esposto, annunciato da tempo, è stato curato dall’avvocato Alessandro Gamberini. Dietro alle azioni del gruppo guidato dai fratelli Savi (Roberto e Fabio, attualmente all’ergastolo come il fratello minore Alberto), ha detto il legale in una conferenza stampa, “ci sono stati depistaggi organizzati, e non dai Savi, ma all’interno di corpi dello Stato infedeli“. Alla “memoria violata ha contribuito una magistratura bolognese che si è esposta poco e male, ha chiuso indagini in modo frettoloso”, ha aggiunto Gamberini criticando duramente pm e giudici dell’epoca.
“Si trattò di una banda di terroristi il cui obiettivo era spargere panico nella popolazione”; “il potenziale di violenza omicida nelle azioni criminali è totalmente sganciato dalla necessità e visibilmente sproporzionato nonché, in molte occasioni, privo di qualsivoglia scopo di lucro”.
Secondo l’esposto ci sono collegamenti con una trama eversiva “presente nel nostro Paese, il prolungamento di quella strategia della tensione che ha insanguinato l’Italia per un quarto di secolo”. Si chiede, tra l’altro, di riaprire le indagini sul brigadiere dei carabinieri Domenico Macauda, già condannato per calunnia, accertandone perlomeno la complicità nell’omicidio dei carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Erriu, assassinati il 20 aprile 1988 a Castel Maggiore.
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