Caso Marlane: colpo di scena nella vicenda della fabbrica dei veleni

COSENZA – Nuovi elementi potrebbero inchiodare l’azienda.

Prove che serviranno agli inquirenti ad aprire un nuovo filone d’indagine. A dichiararlo sono gli avvocati de Comune di Praja a Mare tra cui spicca il nome dell’esperto di dirittto dell’ambiente Domenico Monci nel corso dell’incontro avvenuto ieri presso la Provincia di Cosenza proprio per discutere proprio dello scempio della ‘fabbrica dei veleni’ dei Marzotto. Un fantasma, quello della Marlane, che aleggia tra le strade di Praja terrorizzando chi vive nei dintorni dell’opificio duvo scavando sino a quanttro metri nel terreno i vigili del fuoco già nel 2007 rinvenirono una forte contentrazione di sostanze altamente inquinanti. Cosa è stato seppellito intorno alla Marlane non è dato sapere. I morti per le esalazioni della fabbrica tessile invece si contano a decine. Oltre un centinaio. La proprietà (accusata di strage e disastro ambientale) “si è trincerata dietro al paravento dell’area posta sotto sequestro. Nel settembre 2012 – afferma il sindaco di Praia a Mare Antonio Praticò – ho messo in mora l’azienda. Oggi non ci possiamo fermare più ed è per questo che chiedo la rimozione del terreno dal piano di calpestio fino a cinque metri, in modo tale da restituire la tranquillità a residenti e turisti”.

 

“Diversi ministeri hanno predisposto insieme un progetto che consente, dagli aerei, di indagare il sottosuolo per scoprire se ci siano interrati bidoni metallici. Noi chiediamo – ha detto Guccione del Pd nel corso dell’incontro – che anche l’area di Praia sia esaminata con questo sistema, perche’ si sospetta che anche questa sia una “terra dei fuochi” calabrese”. Il progetto studiato per la terra dei fuochi campana si chiama Miapi e prevede il sorvolo delle aree interessate, in questo caso la Marlane, la Line e Lane e l’isola di Dino, con speciali mezzi aerei capaci di scandagliare il sottosuolo fino a 20 metri di profondità e rilevare la presenza di agenti tossici. Inquinanti cui presenza è stata più volte ribadita dagli ex dipendenti della Marzotto in sede dibattimentale.

 

“La mattina – ha spiegato un operaio nel corso della sua deposizione – la battuta ricorrente tra gli operai era  ‘oggi nebbia in val padana’, perchè appena entravano nella fabbrica non si vedeva a due metri di distanza tanto era il fumo che veniva sprigionato dalle vasche e dai pozzi dove venivano immerse le lane. Gli aspiratori non funzionavano e nell’aria stagnavano le puzze e le polveri che si sprigionavano dai telai pregne di acidi e di amianto”. L’uomo parla poi di firme di licenziamento fatte fare sul letto di morte e di visite mediche inesistenti. “Sarebbero bastati controlli seri e un po’ di cautela per salvare decine e decine di vite umane, – continua l’operaio Marlane – ma a Marzotto interessava solo la produzione ed interessava solo che la fabbrica fabbricasse denaro, capitale, investimenti, produzione. Perché la fabbrica funzionava, gli operai sapevano fare bene il proprio lavoro. Il resto ai padroni non importava. Se un operaio moriva lo si sostituiva con un altro. L’unica misura precauzionale presa dai dirigenti della fabbrica? Far bere agli operai un litro di latte al giorno. La dirigenza voleva risparmiare anche sui rifiuti prodotti dalla fabbrica e cominciò a seppellirli all’interno della fabbrica stessa. Quei veleni sono ancora lì”. 

 

 

 

 

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