PRAJA A MARE – Spetterà ad alcuni periti, nominati dal tribunale di Paola, verificare se allo stato è configurabile l’ipotesi di disastro ambientale per quanto riguarda lo stabilimento Marlane di Praia a Mare, chiuso ormai da diversi anni.
Questo è quanto è emerso nel corso del processo relativo alla morte di numerosi lavoratori dell’azienda che vede imputate 13 persone, tra ex responsabili e dirigenti dello stabilimento, tutte accusate di omicidio colposo. Secondo l’accusa un centinaio di operai sarebbero morti per cancri provocati dall’inalazione dei vapori emessi nella lavorazione dei tessuti, in modo particolare nel reparto di tinteggiatura. In una nota di Medicina Democratica è evidenziato che “sembra inoltre che vi siano in corso trattative su richieste delle parti private che porterebbero ad un risarcimento assolutamente esiguo consistenti, sembra, in 20/30.000 euro a defunto comprese le spese legali per ogni parte civile. Ci troviamo ancora una volta come è già accaduto a Napoli, a Taranto ed in moltissime altre situazioni: si muore di tumore, ma la colpa non è mai di nessuno. Una giustizia che non arriva mai per oltre un centinaio di lavoratori morti. La salute e la vita degli operai non può essere considerata un effetto del progresso”. Così Slai Cobas e Medicina Democratica uniche associazioni costantemente presenti, assistite dagli avvocati Natalia Branda e Giuseppe Senatore, esprimono la loro ferma “opposizione a qualsiasi forma di accordo ribadendo la necessita che si arrivi a stabilire responsabilità e colpevoli. I soldi non cancellano sofferenze e morti”.