Non ha rapporti con il cugino Adolfo e non intende proseguire il percorso intrapreso dal figlio Ernesto.
COSENZA – Vincenzo Foggetti vuole chiarire la sua posizione. Un ruolo rivelatosi da subito scomodo quando all’indomani del suo ‘pentimento’ il portone della sua abitazione di Rende, a viale dei Giardini, era stato data alle fiamme da ignoti. Suo figlio Ernesto e il cugino Adolfo stanno collaborando con gli inquirenti per ricostruire le dinamiche interne alla malavita cosentina. Dinamiche dalle quali non sarebbero estranei neanche alcuni sindaci eletti nell’area urbana negli ultimi anni. Nei verbali depositati infatti pare che i cugini Foggetti abbiano reso noto il meccanismo di raccolta voti attivato in campagna elettorale per racimolare i consensi degli affiliati alle ‘ndrine bruzie.
Il sindaco di Rende, Marcello Manna che lavora alla difesa di diversi imputati sia del clan Lanzino sia del clan Rango – Abbruzzese, il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto, l’aspirante sindaco di Cosenza Enzo Paolini nonchè l’ex sindaco di Castrolibero oggi consigliere regionale Orlandino Greco, secondo le rivelazioni rese dai due pentiti, sarebbero entrati in contatto con esponenti di spicco delle cosche cosentine per ampliare il numero dei potenziali sostenitori delle proprie candidature. Vincenzo Foggetti che dallo scorso Marzo stava collaborando con la giustizia a Giugno di quest’anno, in videoconferenza durante un’udienza, ha deciso di abbandonare il ‘pentitismo’ e ritornare alla normale condizione di detenuto. Le sue dichiarazioni quindi non saranno mai più utilizzate come prove nei processi in corso. Una scelta mai motivata e che l’ex pentito ha deciso di chiarire con una lettera inviata al Quotidiano del Sud riportata di seguito.
“E’ mia premura – scrive Vincenzo Foggetti, attualmente ristretto in carcere – precisare come abbia iniziato la mia pseudo collaborazione con la giustizia a Marzo del 2015 a seguito del mio ingresso in carcere. Questa mia scelta era dettata dal fatto che alcuni miei congiunti avevano deciso di collaborare con la giustizia. Non avevo informazioni utili da riferire – atteso che non ho mai rivestito alcun ruolo, marginale o di spicco, all’interno della criminalità organizzata cosentina – e nei mesi successivi, dato che gli inquirenti incalzavano con domande su accadimenti che disconoscevo, non essendo assolutamente informato su nulla, decidevo di interrompere la mia collaborazione. In ragione di ciò già dopo neppure due mesi manifestavo agli organi deputati la mia intenzione di rinunciare al programma di protezione. Attraverso questo mio comunicato, infine, intendo sottolineare come nessun interesse, rapporto o legame mi unisce ai miei congiunti che hanno deciso di intraprendere il percorso collaborativo. Infine, ribadisco di non essere ormai da tempo collaboratore di giustizia. Sono e intendo rimanere un detenuto comune che oggi paga gli errori in precedenza commessi”.