‘Ndrangheta, arresti in Calabria: il controllo delle cosche si traduceva in racket e usura

Gli investigatori hanno anche scoperto il danneggiamento delle auto di componenti di spicco della famiglia Martino, avvenuto con l'avallo del boss Domenico Mico Megna

CATANZARO – Sono partite da un episodio estorsivo ai danni di un imprenditore di Cutro le indagini dei carabinieri che stamani hanno portato all’esecuzione di 31 misure cautelari emesse dal gip su richiesta della Dda di Catanzaro – 15 in carcere, 7 ai domiciliari e 9 all’obbligo di dimora – nei confronti di presunti affiliati a cosche del crotonese.Le indagini, condotte dalla Sezione operativa del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Crotone, si sono ben presto allargate oltre l’episodio fotografando le dinamiche del locale di ‘Ndrangheta di Cutro dopo l’arresto del boss egemone Nicolino Grande Aracri, e il suo successivo tentativo di collaborazione, poi venuto meno per acclarata inattendibilità.
È emersa così la presenza della famiglia Martino, già collegata a Grande Aracri, al cui vertice, secondo l’accusa, c’è il capo detenuto Vito Martino, composta principalmente dalla moglie e dai due figli, attivi sul territorio di Cutro in contrapposizione ai Ciampà- dragone, che ha cercato di affermarsi sempre più come famiglia di ‘ndrangheta autonoma.L’inchiesta, condotta con intercettazioni telefoniche e ambientali oltre che su riscontri alle attività di osservazione e pedinamento, si è avvalsa anche del contributo dei collaboratori di giustizia Giuseppe Liperoti, Salvatore Muto, Angelo Salvatore Cortese, Antonio Valerio e Gaetano Aloe.
Sono stati così raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine a reati commessi con le modalità tipiche dell’associazione mafiosa, ed in particolare all’esistenza di una “bacinella”, finanziata anche tramite lo spaccio e lo smercio, in forma associativa, d’ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, sulla direttrice Cutro – Cosenza – Catanzaro – e, soprattutto, nel Capoluogo, per il sostegno economico di affiliati e famiglie dei detenuti.Dagli accertamenti svolti è emersa la capacità di controllo del territorio grazie alle intimidazioni, tradotta nell’estorsione ai danni di titolari di attività commerciali e usura.
Gli indagati, inoltre, avevano la disponibilità di armi, documentata da due sequestri effettuati nel 2021 e nel 2022.Gli investigatori hanno anche scoperto il danneggiamento delle auto di componenti di spicco della famiglia Martino, avvenuto con l’avallo del boss Domenico Mico Megna, ritenuto “significativo” per interpretare i rapporti tra le varie cosche della provincia e l’evoluzione dei rapporti di forza tra le stesse.
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