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Sanità: a rischio il decreto Scura, Atto Aziendale da rifare?

Calabria

Sanità: a rischio il decreto Scura, Atto Aziendale da rifare?

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Dieci sindaci del Cosentino hanno impugnato il decreto 64. Il Tar deciderà tra due settimane. Ci sono due possibilità su tre che l’atto sia annullato.

COSENZA – Ancora si discute dell’Atto aziendale proposto da Raffaele Mauro, il direttore generale dell’Asp di Cosenza. Ma a breve potrebbe crollare tutto. E non ci si riferisce solo all’Atto di Mauro, che pure ha fatto venire il mal di pancia ai sindacati dei medici, ma al decreto 64-2016, emanato dal commissario regionale alla Sanità, che disegna il “piano” della Sanità regionale per i prossimi tre anni.

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Il dg dell’Asp Raffaele Mauro

Non “puzzerebbe”, dunque solo l’aspetto esecutivo, ma anche quello “ideativo”. Il pesce, detto altrimenti, rischia di andare a male a partire dalla testa. Perché? Semplice, i sindaci di circa 10 Comuni del Cosentino hanno impugnato il decreto 64, che dovrebbe ispirare l’Atto Aziendale di Mauro.

 

Intendiamoci: dal punto di vista istituzionale, il commissario Massimo Scura ha le spalle coperte, perché il Tavolo Adduce (temibile come il Massicci di cui ha raccolto l’eredità) ha apprezzato l’aspetto economico. Purché si tagli e si razionalizzi, a Roma va bene, perché i commissari devono realizzare i piani di rientro, possibilmente senza lasciare i cittadini privi di servizi.

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La direzione generale dell’Asp di Cosenza

Ora, entro fine mese, presumibilmente il 24 settembre, il Tar di Catanzaro dovrebbe decidere di questi ricorsi, presentati dai sindaci e promossi dal prof. dell’Unical Ettore Jorio, “con la parcella simbolica di un euro a ricorso”, specifica il legale (in pratica, nemmeno le marche da bollo).

 

Le ipotesi che questi ricorsi vadano a buon fine, sono due su tre, spiega ancora Jorio. Il Tar potrebbe, infatti, accoglierli, cassando quindi l’atto, portare il problema all’attenzione della Corte Costituzionale (mancherebbe nell’ordinamento una norma generale che legittimi questi decreti), oppure respingere. E in quest’ultimo caso non è detto che i sindaci non possano bussare al Consiglio di Stato con maggiori possibilità di successo.

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La collina su cui sorge l’Ospedale di Paola

Certo è che i malumori tra i primi cittadini, che hanno impugnato nella qualità di garanti della salute dei cittadini sui propri territori, non mancano. Tant’è che tra i ricorrenti figurano comuni piuttosto importanti. Ad esempio, San Giovanni in Fiore, il cui ospedale è diventato una sorta di pacco postale (fu scorporato dall’Asl di Crotone per passare all’Asp di Cosemza, qui è stato accorpato al distretto di Corigliano-Rossano e ora dovrebbe finire nel distretto della medicina territoriale di Cosenza).

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L’ingresso dell’Ospedale di San Giovanni in Fiore

Ma le lamentele (giudiziarie) provengono anche da Rossano, Corigliano e Cetraro. Nel caso della cittadina del Tirreno, accorpata con Paola, si è scatenata una sorta di lotta fratricida: non è stato apprezzato, ad esempio, il tentativo di potenziare Paola, dotandola di sale operatorie. E non per motivi campanilistici: parrebbe, stando alla lettera dell’esposto avanzato da Vincenzo Cesareo, il direttore sanitario dello Spoke Paola-Cetraro, che la struttura di Paola non sia sicura dal punto di vista idrogeologico.

 

Il fuoco di fila è concentrico e alle complicazioni si aggiungono i guai. Per il futuro immediato della Sanità calabrese inizia un delicato conto alla rovescia

 

Mario Margheriti

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