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Adriano Celentano, così il Rock batte l’Economy
 
																								
												
												
											Altro pubblico, più popolare e anche un po’ più agé. Meno eleganza, meno eccitazione e più entusiasmo alla buona. Perfino i bagarini hanno fatto meno
affari ieri all’Arena: anche se, da quel che si è capito, alcuni di quei tanti biglietti da un euro rivenduti a ben altre cifre diventeranno per alcuni un modo per fare la spesa qualche giorno in più nel mese. Anche questo è «Rock Economic», come lo show di Canale 5 che dopo il trionfo di audience di domenica, ha rivitalizzato Adriano Celentano. Ieri è apparso meno pallido, meno teso, più mobile. Come se avesse ritrovato la strada di casa dopo essersi perso per 18 anni nel bosco della sua vita segregata.
Sarà anche perché la seconda serata è stata a tutta-canzone, una carrellata micidiale di titoli che hanno fatto sognare e cantare a squarciagola 5 generazioni di italiani. Un vero concerto senza preoccuparsi di vangeli da divulgare e dibattiti da intavolare con esperti e filosofi. Perfino il passo del Molleggiato appariva più deciso. Così, chiuso nella sua giacca grigia, l’abbiamo visto sorridere e ritornare se stesso.
Il punto di partenza è stato sempre quell’anno per lui miracoloso, il 1966. Mondo in MI7, un pezzo da manuale per contemporaneità, del quale ha voluto sottolineare con malizia il verso «C’è perfino corruzione dove c’è lo sport». Tanti colori di emozioni. Romanticismo con Soli, celeberrima ballata firmata da Cutugno (e si sente), cantata in coro dai 11.500. Malinconia nella più recente Arcobaleno di Mogol/Bella, e ancora revival nella cinematografica Storia d’amore del 1969. Adriano ha anche confessato il tormento dei preparativi: «È stata dura, non ricordavo più i testi, mi vedevano andare in giro per Verona parlando da solo, ripetevo le parole».
Qualche colpo a sorpresa movimenta le memorie. Come Ringo, anch’essa del ‘66, che fu a lungo il leit motiv della pubblicità di una carne in Carosello, con il testo di Castellano e Pipolo: qui, senza gobbo, sarebbe stata una tragedia vista la complessità e lunghezza del testo. Nel pieno revival di parti importanti della sua arte e della vita, ecco il balletto con Yuppi Du, il brano con testo in inglese (anche se maccheronico) scritto da lui e tradotto da qualcuno, che nel ‘75 accompagnò l’omonimo film con la moglie Claudia e con Charlotte Rampling, rischiando di vincere il Festival di Cannes. Un momento importante nella carriera di Celentano, che per la prima volta si trasformava da Molleggiato pop in una sorta di predicatore di un’era nuova.
Ruolo che a quanto pare intende mantenere, visto il lunghissimo monologo che poi davvero fende l’aria, e che recita a memoria, senza l’aiuto delle tecnologia. Il tema è il sogno di un’era nuova, con un progetto condiviso. La tirata è lunghissima: «La parola magica è lo scatto, uno scatto che prima o poi il mondo dovrà fare. Uno scatto di rabbia, o una scintilla che potrebbe dar luogo a una rivoluzione qui sulla terra. È fra le pieghe dell’utopia che si nasconde il modo per scacciare la crisi: ed è assurdo pensare che questo casino che succede nel mondo sia riconducibile alle pure questioni economiche». Torna il sogno del rispetto dell’ambiente, la richiesta di una casa dignitosa ai poveri, la speranza che gli industriali italiani «Facciano passare il cammello per la cruna di un ago», dando concretezza a tali sogni. Tu Vedrai suggella la fine del momento, l’ingresso di Morandi servirà a riaprire il juke-box dei ricordi, fra l’omaggio a Lucio Dalla con Caruso (ed è standing ovation) e titoli indimenticati come Una carezza in un pugno e Sei rimasta sola . Il rock finale fa ritrovare a Celentano l’uso delle gambe: decisamente, il concerto è stato un’autoterapia.
LaStampa.it
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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