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Avrebbe favorito la fuga di Matacena, La Dia di Reggio ha arrestato l’ex ministro Scajola
 
																								
												
												
											REGGIO CALABRIA – Al momento dell’arresto si trovava in un noto albergo di Roma.
La Dia di Reggio Calabria ha arrestato Claudio Scajola, ex ministro dell’Interno dal 2001 al 2002 e più recentemente dello sviluppo Economico del Governo Berlusconi, dal 2008 al 2010. A gennaio, era stato assolto per la vicenda della casa al Colosseo. Nell’ambito della stessa operazione sono stati eseguiti complessivamente otto provvedimenti. Scajola è stato arrestato perché avrebbe aiutato l’ex parlamentare Amedeo Matacena a sottrarsi alla cattura per l’esecuzione pena dopo essere stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. A dirlo è il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. L’inchiesta che ha portato all’arresto è nata nell’ambito di una indagine su tutt’altro argomento.
PERQUISIZIONI
Il Personale della Dia di Reggio Calabria sta eseguendo numerose perquisizioni in Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Lazio, Calabria e Sicilia, oltre a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro. La Dia reggina è coadiuvata dai Centri operativi e sezioni Dia di Roma, Genova, Milano, Torino, Catania, Bologna, Messina e Catanzaro. I provvedimenti restrittivi a carico di Scajola, Matacena e gli altri indagati sono stati emessi dal Gip di Reggio Calabria Olga Tarzia su richiesta della Dda diretta dal procuratore Federico Cafiero De Raho. Una perquisizione è scattata anche nell’ufficio di Scajola, in via Matteotti a Imperia. Secondo quanto si è appreso, l’ufficio era già presidiato da uomini in borghese già dalle prime luci dell’alba, quando sono scattati gli arresti. Quattro uomini della Dia accompagnati da una impiegata stanno cercando carte e documentazione bancaria nell’ufficio dove per anni Scajola ha tenuto riunioni e svolto la sua attività politica. Tra gli arrestati, figurano persone ritenute legate al noto imprenditore reggino ed ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, anch’egli colpito da provvedimento restrittivo insieme alla moglie Chiara Rizzo, ed alla madre Raffaella De Carolis. Matacena è latitante, dopo una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
I PARTICOLARI DELLE INDAGINI
Claudio Scajola stava cercando di fare uscire Amedeo Matacena da Dubai, dove si trova attualmente, per farlo andare in Libano dove sarebbe stato al sicuro dall’arresto per l’esecuzione pena per la condanna a 5 anni subita per concorso esterno in associazione mafiosa. Dopo essere fuggito dall’Italia, infatti, Matacena ha girato alcuni Paesi fino ad arrivare negli Emirati Arabi Uniti dove era stato arrestato dalla polizia locale al suo arrivo all’aeroporto di Dubai su segnalazione delle autorità italiane. Pochi giorni dopo, però, Matacena è tornato in libertà in quanto non è stata completata la procedura di estradizione in Italia. La giurisdizione degli Emirati arabi, dove non esiste il reato di criminalità organizzata e con i quali l’Italia non ha accordi bilaterali, prevede che i cittadini stranieri in attesa di estradizione non possano essere privati della libertà oltre un certo limite di tempo. Matacena non poteva però lasciare il Paese arabo in quanto privato del passaporto. Per la giustizia italiana è rimasto un latitante. E’ in questa fase, secondo l’accusa, che sarebbe intervenuto Scajola che avrebbe cercato di aiutare Matacena a trasferirsi in Libano. Gli altri arrestati, invece, stavano cercando di sistemare dei factotum di Matacena al vertice di alcune società. “Amedeo Matacena jr, godeva e gode tuttora di una rete di complicità ad alti livelli grazie alla quale è riuscito a sottrarsi all’arresto”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica Federico Cafiero De Raho commentando l’inchiesta.
COMPUTER E DOCUMENTI SEQUESTRATI NELLA VILLA DI IMPERIA
Nella villa di Claudio Scajola ad Imperia gli uomini della Dia hanno sequestrato computer fissi e portatili, tablet, alcuni smartphone e documentazione cartacea relativa a alcune società riconducibili all’inchiesta su Amedeo Matacena. La Dia ha perquisito anche l’ufficio di Scajola sequestrando anche in quel luogo computer e documenti. Ad assistere alla perquisizione della villa di via Diano Calderina dell’ex ministro, è stata la moglie Maria Tersa Verda, in lacrime, e l’avvocato di Scajola.
SCAJOLA FINI’ IN CARCERE NEL 1983
Ha già conosciuto il carcere l’ex ministro Claudio Scajola. Finì in cella nel 1983 quando era in sindaco di Imperia. E’ il 12 dicembre quando l’allora primo cittadino democristiano viene arrestato dai carabinieri con l’accusa di tentata concussione aggravata nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti del Casino di Sanremo.Il giorno dopo si dimette. Rimarrà due mesi nel carcere di San Vittore. In seguito verrà prosciolto dalle accuse e tornerà nuovamente sindaco della sua città.
ORDINANZA CAUTELARE PER LE SEGRETARIE DELL’EX MINISTRO E DI MATACENA
La Dia di Genova, nell’ambito dell’indagine che ha portato in carcere l’ex ministro Claudio Scajola, ha notificato l’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari oltre che alla segretaria di Scajola, Roberta Sacco, 43 anni, residente in via Glori a Diano San Pietro (Imperia) anche a Maria Grazia Fiordelisi, 52 anni, segretaria di Amedeo Matacena. La donna è stata trovata stamani nella sua abitazione di via Ansaldi a Sanremo. Tra i perquisiti anche altre due persone non indagate.
L’INDAGINE ‘BREAKFAST’
L’inchiesta che ha portato all’arresto dell’ex ministro Scajola rappresenta un troncone di una molto più ampia indagine coordinata dalla Dda di Reggio Calabria e denominata “Breakfast” che, nell’aprile del 2012, ha portato i magistrati reggini ad indagare l’allora tesoriere della Lega Nord, Francesco Belsito ed altre persone. Indagando sui reinvestimenti di capitali illeciti movimentati dalla ‘ndrangheta in Italia e all’estero, gli investigatori della Dia di Reggio Calabria, coordinati dal pm Giuseppe Lombardo, eseguirono una serie di perquisizioni a carico di varie persone. Tra queste l’imprenditore veneto Stefano Bonet, il procacciatore di affari Romolo Girardelli, detto ‘l’ammiraglio’ e ritenuto dagli investigatori vicino alla ‘ndrangheta, e il consulente Bruno Mafrici, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) ma residente a Milano. L’indagine è ancora in corso. L’ipotesi formulata dagli inquirenti è che Belsito abbia chiesto il supporto di una società fiduciaria con sede a Lugano per la predisposizione di strutture societarie attraverso le quali giustificare il trasferimento all’estero di denaro tenuto in Italia. Gli inquirenti sono anche a caccia di un conto cifrato in Svizzera che potrebbe essere stato messo a disposizione degli emissari milanesi della famiglia di ‘ndrangheta dei De Stefano di Reggio Calabria per riciclare il denaro. L’inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ipotizza che tra i fondi neri della Lega finiti all’estero vi possa essere anche il denaro frutto degli affari illeciti della cosca De Stefano, fatto confluire nella massa di denaro gestita da Belsito allo scopo di riciclarlo e ripulirlo per nuovi investimenti.
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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