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Guglielmo e Jamaica
Per tetto un cielo stellato, per coperte un sacco a pelo fatto di cartoni. E’ questa la condizione esistenziale di Guglielmo, una scelta di vita – definita dallo stesso – “un atto d’amore nei confronti di una meravigliosa ragazza di Cosenza, con cui vivo da un anno e mezzo e che è il mio oggi, il mio domani e che mi ha ridato fiducia nella
vita, riesumato la gioia persa e mi ha fatto dimenticare le pagine brutte del mio ieri, cancellando pezzi del mio passato”.
L’identikit – Dread in testa, sciarpa del Cosenza al collo, spirito pacifico, pochi soldi in tasca, Guglielmo, classe ’78 di Cetraro, figlio di genitori separati (mamma del tirreno cosentino, padre di Cosenza) cammina al fianco della sua migliore amica, Jamaica, una cucciola di Labrador di cinque anni, compagna di avventure e disavventure.
Il passato – “La mia infanzia non è stata felice e, soprattutto facile. Ero piccolo quando i miei genitori si sono separati. Ho accusato il colpo e sono cresciuto libero. Non dò colpe a mia madre, anche se – rivedendo la mia vita oggi, come riflessa davanti ad uno specchio – mi rendo conto che qualche freno poteva anche mettermelo. Crescere un figlio non è solo mettere un piatto di pasta sul tavolo. Con i figli bisogna parlare, capirli. Non sto accusando mia madre o mio padre che, purtroppo non c’è più, s’è l’è preso un male incurabile a 41 anni, ma penso che due teste fragili insieme non possono stare”. Mentre ricorda la figura del padre “l’unico – ricorda – che predicava il rispetto per gli altri, l’educazione e l’amore, quello incondizionato, per tutti gli esseri viventi, sia essi uomini o animali – gli si illuminano gli occhi. “Vivo a Cosenza, in questa meravigliosa città che mio padre m’ha lasciato, insieme ai suoi insegnamenti. Di Cosenza sono innamorato. E’ la mia vita e non solo alla partita. Ciao papà, so che anche da lassù continui a gridare: Forza Lupi”.
La discesa agli inferi – “E’ con la morte di papà che inizio a perdere me stesso, a sentirmi solo. Per combattere questo incolmabile senso di vuoto e di sofferenza, cerco rifugio e compagnia nell’alcol. Bevevo per dimenticare, bevevo per allontanare gli incubi, scolavo bottiglie di vario genere per cercare quasi qualcuno o qualcosa con cui condividere il mio dolore. Cerco di disertare. Venni preso a piazza Domenico Maggiore a Napoli da una telefonata amica che mi avvertiva che ci sarebbe stato l’arresto se non avessi risposto alla convocazione militare. Fu allora che, per paura di finire nei guai e di infilarmi in un tunnel senza via d’uscita che decido di recarmi a Catanzaro per far valere i miei diritti”.
Il male oscuro – “Pensare di allontanare l’alcol non è semplice. Non basta solo la consapevolezza di volersi liberare dal fascino irresistibile della bottiglia. Ci vuole forza. E io non ne avevo. Questo maledetto male mi costò quasi la vita. Rimasi coinvolto in un bruttissimo incidente stradale. Di quell’esperienza ne porto ancora i segni. Diverse ferite sul corpo, la vista dall’occhio destro recuperata per miracolo e un mese della mia vita in coma, un mese di cui, malgrado gli sforzi, non ricordo nulla. Assolutamente. Nemmeno immagini sbiadite come fotografie, ma forse è meglio così. Poi arriva l’amore e con esso la ricostruzione, difficile e lunga di me stesso, o almeno il recupero di quella parte di me, ancora assetata e affamata di vita. L’alcol mi ha portato via anche un figlio e a quella maledetta bottiglia non glielo perdonerò mai”.
La rinascita – “La mia risalita verso la normalità e la ricerca della pace interiore con me stesso e con gli altri inizia un anno e mezzo fa. Tutto merito di Francesca, una meravigliosa creatura, mandatami dal cielo, che mi sta continuamente vicino e, tra alti e bassi, mi sta facendo fare pace con la vita. Mi ha fatto scoprire cosa vuol dire vivere, cosa significa ritornare a sperare, a credere nei sogni e m’ha fatto capire che, nonostante tutti gli sbagli, se si è belli dentro si può fare anche pace con se stessi. Mi sono perdonato e ogni giorno continuo a farlo, guardando alla vita e al mio futuro con occhi nuovi e luminosi. Quelli che solo l’amore ti può dare. Se non ci fosse stata lei, ora non sarei cosa sarebbe stato della mia vita. Forse, anzi sicuramente, mi sarei perso. Vivere per strada non è semplice, vivere senza soldi lo è ancora di più. Sarebbe stato fin troppo facile cadere in altre maledette trappole come la droga o la criminalità”.
Quando cala la sera – Quando tutti vanno a letto, anche Guglielmo lo fa. “Non sempre è facile prendere sonno. Dormire coperto dai cartoni non è il modo migliore per riposare. Prima di coricarmi parlo a lungo con Jamaica, poi alzo gli occhi al cielo, congiungo le mani e chiedo a mio padre e al cielo la speranza di svegliarmi al mattino e che finalmente una svolta possa bussare alla mia “porta”. Quello che chiedo al cielo e al cuore degli altri è un umile lavoro. Non ho vizi costosi. L’unico che ho è il mio cane”.
Un grazie particolare – In questo anno e mezzo di vita per strada Guglielmo di persone ne ha conosciute tante. Poveri, disadattati, disagiati, sbandati, tossici, alcolisti, delinquenti, trans, prostitute. Gente in cerca di se stessi. A tutti offre la sua storia, a tutti regala pezzi del suo passato, a tutti insegna che cambiare si può, a tutti consiglia di voltare pagine per far pace con se stessi. “C’è tanta gente che soffre. Vivendo per strada ho conosciuto la sofferenza in tutte le sue forme. Io mi considero un miracolato, grazie a Francesca, ma anche grazie ai residenti e ai commercianti di via delle Medaglie d’Oro e di via XXIV Maggio che non mi hanno mai fatto mancare e continuano a considerarmi uno di loro. Mi sento figlio, fratello, amico, cugino di questo grande pezzo della città. Il cuore dei cosentini è grande e pulsa di fede, speranza e amore”.
L’impegno nel sociale – Guglielmo, vivendo in prima persona la condizione del disagio, è entrato in contatto con tante realtà associative cittadine. E’ entrato a far parte degli – come ama definirli lui – “splendidi ragazzi e ragazze del Cpoa Rialzo, gente di ogni età, accomunati dal comune senso di lotta per il sociale, per il bene della nostra città e per la difesa delle classi più disagiate. Un grazie a tutti loro, un grazie sincero e spassionato anche agli Ultras della curva Sud. Siamo ultras non criminali. Un forte abbraccio – conclude – lo dedico alle famiglie di tanti amici prematuramente scomparsi”. Jamaica, dopo aver ascoltato in silenzio il suo padrone ha voglie di correre e giocare nel parco. Guglielmo e Francesca l’accontentano. I loro volti si illuminano di gioia, Jamaica scodinzola felice. Il potere dell’amore.
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