Segnala una notizia

Hai assistito a un fatto rilevante?
Inviaci il tuo contributo.

Richiedi info
Contattaci

Detenuto ‘suicida’ a Paola prima di morire: “L’agente che fa la notte sa”

In Evidenza

Detenuto ‘suicida’ a Paola prima di morire: “L’agente che fa la notte sa”

Pubblicato

il

carcere paola

Maurilio Pio Morabito avrebbe chiesto, invano, di essere tutelato. 

 

PAOLA (CS) – Da chiarire le cause che hanno portato alla morte di Maurilio Pio Morabito. Il quarantaseienne, detenuto da 1 Aprile nella casa circondariale di Paola, era stato arrestato per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Inizialmente ristretto nel penitenziario reggino di Arghillà fu trasferito dopo essere stato aggredito e minacciato di morte il 28 Marzo. Morabito avrebbe raccontato che all’improvviso alcuni detenuti lo avrebbero coperto con un panno, picchiato e poi tentato di strangolare. Le motivazioni dell’agguato subito, scrisse in una prima lettera indirizzata ai suoi legali e ai genitori, erano “conseguenti ai fatti accaduti nel carcere di Arghillà”. A cosa si riferisse, ad oggi, non è dato sapere. Verosimilmente l’uomo avrebbe assistito a qualcosa che non andava rivelato, diventando quindi ‘scomodo’. L’unica certezza è che il giorno dopo aver spedito la missiva la sua cella andò in fiamme e fu salvato dagli agenti di turno. In quell’occasione il sindacato di polizia penitenziaria Sappe si era affrettato a diramare una nota affermando che l’uomo aveva incendiato la cella in segno di protesta. Nel frattempo dalle ultime cronache nella casa circondariale di Arghillà risultano diversi episodi anomali: un coltello spedito ad un detenuto a fine febbraio, dell’hashish ritrovata all’interno della struttura poche settimane prima ed un tentato suicidio avvenuto esattamente quattro giorni prima del ritrovamento del cadavere di Morabito nella sua cella. Episodi che probabilmente non sono correlati con il decesso del quarantaseienne, ma che pongono diversi interrogativi sulla sicurezza nel carcere reggino.

 

Sicurezza e tutela che Morabito avrebbe invocato disperatamente fino a pochi giorni prima della sua morte. In una seconda infatti il detenuto avanzava precise richieste. “Se dovesse accadere un mio eventuale decesso, – scrisse Morabito – facendo il tentativo di farlo passare per un suicidio, non è così in quanto amo troppo la vita e il mio fine pena è imminente, 30 giugno. Ovvio che l’agente che fa la notte sa. Chiedo a tutela della mia incolumità di essere trasferito in una struttura sita in qualsiasi punto della Penisola purché sia dotata di un’area protetta, inoltre chiedo che per il tempo di attesa affinché avvenga il mio trasferimento sia mantenuto il cancello e il blindo chiuso 24 h e aperto soltanto per i vari colloqui, il divieto di incontro con qualunque detenuto anche lavorante”. Richieste  a cui l’amministrazione di Paola aveva risposto ponendolo in una cella ‘liscia’, in mutande, con solo la disponibilità di una coperta. E con una visita psichiatrica in cui sarebbero stati prescritti dei farmaci che il detenuto ha sempre rifiutato di assumere. Seguirà un nuovo episodio in cui dopo essere stato spostato in un’altra cella avrebbe danneggiato gli arredi dopo il 15 aprile.

 

Vicende che l’amministrazione penitenziaria, a cui non risulta che l’uomo avesse subito aggressioni, attribuiva a tentativi di suicidio posti in essere dal quarantaseienne. Diversa la versione dei genitori e dei detenuti di Reggio Calabria, amici di Morabito ristretti insieme a lui nella casa circondariale di Paola. Per loro Morabito non aveva nessun problema di depressione e non avrebbe mai tentato il suicidio. L’unica ansia che lo attanagliava era il timore che qualcuno potesse ucciderlo. Aveva le ore contate a suo dire, e la morte è arrivata inesorabile, come da lui previsto. Nella notte tra il 28 e il 29 aprile alle 00.50, secondo la versione ufficiale fornita dagli agenti penitenziari di Paola, con una sigaretta Morabito pare abbia strappato una coperta e creato un cappio al quale si sarebbe appeso dopo averlo legato alle grate, per porre fine alla propria esistenza. Eppure diceva di amare la vita. E la famiglia che, stranamente, aveva rifiutato di incontrare il 28 aprile, qualche ora prima di compiere l’estremo gesto. Il medico legale intervenuto sul posto ha decretato che il decesso sia attribuibile a ‘suicidio per impiccagione’. Il pm di turno non ha quindi reputato necessario procedere oltre ed ha provveduto a restituire la salma ai familiari che chiedendo giustizia non hanno celebrato i funerali.

 

 

Hanno preferito aspettare tenendo con sé il corpo privo di vita del congiunto in attesa di ottenere il trasferimento agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria dove oggi pomeriggio verrà finalmente eseguita l’autopsia. La famiglia Morabito chiede giustizia. Per questo motivo ha già presentato formale istanza al fine di visionare gli atti che riguardano il proprio congiunti: relazioni della penitenziaria, relazioni degli assistenti sociali, immagini videosorveglianza dell’esterno della cella, la coperta usata per uccidersi. Emilio Quintieri dei Radicali che da anni si occupa delle questioni carcerarie, allertato dai genitori di Morabito, proprio il giorno del suicidio il 28 maggio avrebbe dovuto compiere una visita ispettiva per chiedere ragguaglia. La visita però è stata rinviata ed eseguita ieri. Quando ormai era già troppo tardi per intervenire. Sul caso indaga la Procura di Reggio Calabria, su rogatoria della Procura di Paola. Nessun iscritto nel registro degli indagati, ma solo una denuncia verso ignoti per istigazione al suicidio

 

Pubblicità
Pubblicità .

Categorie

Social

quicosenza

GRATIS
VISUALIZZA