Provincia
Il clan Muto ricicla il denaro dello spaccio: 4 persone fermate a Paola, sequestrate aziende di frutta e verdura
L’operazione della Guardia di finanza di Cosenza ha riguardato il contrasto al traffico di stupefacenti e il reimpiego di capitali in attività commerciali “lecite” ad opera della criminalità organizzata.
PAOLA (CS) – I fermati sono accusati a vario titolo di coltivazione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti. L’inchiesta dei finanzieri coordinata dal Procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giovanni Bombardieri (in foto) e del Procuratore Antimafia Pierpaolo Bruni ha portato ieri al sequestro di alcune rivendite di frutta e verdura attraverso le quali il clan Muto ‘ripuliva’ il denaro provento della vendita di stupefacenti. Le fiamme gialle di Cosenza nel corso dell’operazione hanno rinvenuto un registro in cui veniva redatta la ‘contabilità’ che incastra diversi affiliati al gruppo capeggiato dal ‘Re del pesce’. Le persone poste oggi in stato di fermo sono Michele Iannelli, 40 anni, Fabrizio Iannelli, 38 anni; Christian Onorato classe 1988 e Pierangelo Iacovo di 26 anni tutte di Cetraro, già note alle forze dell’ordine, considerate legate alla cosca Muto e accusate di aver dato vita ad un imponente traffico di stupefacenti.
L’indagine durata più di un anno ha consentito di svelare come la ‘ndrina cetrarese impiega parte dei capitali provento della vendita di droga. Contestualmente ai fermi, infatti, i Finanzieri hanno sequestrato un ingrosso e due punti vendita al dettaglio di frutta e verdura fittiziamente intestati ad alcuni prestanome, ma di fatto gestiti dal pluripregiudicato Michele Iannelli alias “Tavolone”. Tre decreti di sequestro d’urgenza delle ditte emessi allo scopo di porre fine ad un’attività di riciclaggio che, oltre a ripulire i soldi della droga, garantiva ulteriori introiti alla consorteria, condizionando il mercato ortofrutticolo di una vasta area della provincia. L’indagine ha inizio circa un anno fa, quando i Finanzieri scoprivano una vera e propria raffineria di droga sulle alture di Cetraro: un’imponente centrale adibita allo stoccaggio, confezionamento e distribuzione di grosse partite di marijuana e cocaina gestita dalla ‘ndrangheta cetrarese.
Migliaia di piante, di cui oltre tremila in fase di essiccazione e altre sessanta pronte per il travaso nonché circa due quintali di “erba” stipati in cinquanta balle, ciascuna contenente un quantitativo di stupefacente variabile tra i due e i cinque chilogrammi e migliaia di semi di pregiata qualità provenienti probabilmente dal mercato olandese. Avanzatissimo il sistema utilizzato per la produzione dello stupefacente: un impianto“industriale” di essiccazione intensiva, completo di apparato di areazione perfettamente funzionante nonché di un sistema di illuminazione, capace di sfruttare al meglio anche la luce naturale – per mezzo di appositi pannelli trasparenti installati al soffitto – integrato da lampade alogene oltre ad un impianto di irrigazione e di riscaldamento.
Ma non solo marijuana. Quattrocento grammi di cocaina, conservata sottovuoto, pronta per essere spacciata e sostanza in polvere utilizzata per il “taglio”; strumenti e contenitori necessari per il confezionamento dello stupefacente e tre ciclomotori di provenienza furtiva. A protezione della “preziosa merce” e della intera area utilizzata per l’illecita produzione i malviventi avevano installato un sofisticato impianto di videosorveglianza attraverso il quale riuscivano a controllare tutti i “movimenti” che avvenivano intorno al ‘tesoro’ da circa 10 milioni di euro da difendere con ogni mezzo. I Finanzieri, infatti, nel corso delle perquisizioni rinvenivano due pistole, un fucile a pompa, due carabine e migliaia di munizioni. Sin dai primi momenti i militari si rendevano conto che dietro una produzione tanto imponente non poteva che esserci la lunga mano dei potenti clan cetraresi. Oltre alle armi e alla droga i Finanzieri hanno infatti scoperto il “libro mastro” del clan: vendite di grosse partite di stupefacenti, acquisti di materiale utile per la coltivazione e lo stoccaggio della marijuana e per il taglio della cocaina e, soprattutto, la spartizione dei proventi tra i quattro fermati che compaiono sistematicamente in ogni appunto ove si procede alla spartizione degli “utili”.
Mesi di lavoro hanno portato gli investigatori a decriptare cifre e sigle, riuscendo a dare un nome ed un volto ai componenti del sodalizio e riuscendo a ricostruire un volume d’affari di enormi proporzioni. Come dimostrato Michele Iannelli, leader della consorteria, riciclava gli ingenti proventi in una serie di attività commerciali dalle lecite parvenze, punti vendita di prodotti ortofrutticoli che il pluripregiudicato, già colpito da misure cautelari reali per essere stato coinvolto in altre inchieste della DDA di Catanzaro, aveva intestato ad una serie di prestanome tra cui lo stesso Onorato. Era infatti Iannelli Michele ad occuparsi della gestione dei tre esercizi commerciali, pretendendo dai suoi collaboratori ordine e disciplina, rimproverandoli per i ritardi nelle consegne o per le mancate riscossioni dei crediti. Quando i vari attendenti si dimostravano incapaci nel farsi pagare dai clienti era lo stesso Tavolone a farsi avanti per risolvere le “pendenze” sfruttando “fama” e stazza fisica. Le perquisizioni hanno consentito il sequestro di altra documentazione che potrebbe rivelarsi utile per consolidare le posizioni dei fermati. La lavanderia dei Muto, con tale meccanismo, sul territorio cetrarese ha distorto il mercato lecito, emarginando gli onesti contribuenti e creando un monopolio illegale.

Social