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Lividi “tatuati” sulla figlia: processo al padre-padrone

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Lividi “tatuati” sulla figlia: processo al padre-padrone

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COSENZA – Marchi indelebili di proprietà. E’ una storia brutta, quella che si sta raccontando davanti ai giudici del tribunale di Cosenza. E’ la storia di un legame troppo stretto, ossessivo, morboso di un

padre per la propria figlia. Il 50enne cosentino C. L., finito in manette e sotto inchiesta, con l’auccsaa di maltrattamenti in famiglia, ha sempre appplicato, secondo il racconto della vittima, la legge del padre contro sua figlia, impedendole di vedersi con le amiche, uscire per divertirsi, trovarsi un fidanzato e, addirittura, sogna un lavoro. Ogni volta che la figlia “sgarrava”, il padre le ricordava che lei era sua e di nessuna ltro, un senso di possesso talmente delirante che spesso finiva per sfociare in botte, botte così pesanti da lasciare sul corpo della ragazza i lividi e i segni con cui, scusateci il paragone, si “marchiano” gli animali, per indicarne la proprietà. I fatti in questione risalgono a undici anni fa, quando Laura (il nome è di fantasia) appena adolescente scoprì il volto del padre. Oggi, Laura di anni ne ha 22 e, dopo aver resistito per anni,m subendo le botte in silenzio e cercando aiuto, inutilmente, nello sguardo immobile di sua madre, ha trovato il coraggio di trascinare suo padre in tribunale. Il processo a carico del 50enne è nato dalla denuncia minuziosa e dettagliata che la ragazza fece contro di lui. Una denuncia, piena di orrore, pianto e possesso, falsamente giustificati come atti di amore protettivo, che raccolse il maresciallo Domenico Lio. La ragazza, tra le lacrime e la vergogna, trovò il coraggio di raccontare tutto, anche quel suo desiderio di diventare un giorno un carabiniere. Quando informò il padre della sue intenzioni lavorative e del suo sogno di indossare la divisa dell’Arma, il padre, senza dire una parola, prima la gonfiò di botte, poi la tracinò in macchina fino alla caserma dei carabinieri, poi le scoprì la schiena e con tanta rabbia e altrettanta crudeltà le tatuò con un taglierino la scritta “E’ mia”. Il processo si concluderà il prossimo 4 febbraio. Nel corso delle udienze finora tenute l’uomo sembra non abbia mai mostrato il minimo accenno di pentimento per quanto fatto alla figlia. La fase dibattimentale racconta anche che anche quando l’album fotografico dei lividi “impressi” dal padre sul corpo di sua figlia come tatuaggi indelebili sono entrati in aula, non s’è scomposto minimamente. Il 50enne è difeso da Carmine Furlano, la figlia, costituitasi parte civile, è assistita dall’avvocato Francesca Stancati.

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