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Beni confiscati a mafie, la Calabria è seconda. Il dossier: “40% ancora da destinare”

Calabria

Beni confiscati a mafie, la Calabria è seconda. Il dossier: “40% ancora da destinare”

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La denuncia di Don Ciotti e la legge da migliorare: “10 anni tra sequestro e destinazione, troppi”. Sono 4.786 i beni immobili confiscati dal 1982 ad oggi nella nostra Regione

 

 

ROMA – Sono 4.786 i beni immobili confiscati dal 1982 ad oggi in Calabria: il 60% dei quali sono stati destinati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali mentre il 40% rimangono ancora da destinare. È quanto emerge dal dossier Fattiperbene realizzato da Libera in occasione dei 25 anni dall’approvazione della legge n.109 del 7 marzo 1996 su riutilizzo dei beni confiscati.

A 25 anni dalla legge 109 del 1996 per il riutilizzo sociale dei beni confiscati, Libera, l’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti, fa un bilancio e scopre che su 10 beni confiscati, 5 restano ancora da destinare e che passano in media 10 anni tra il sequestro e l’effettivo riutilizzo sociale, troppi.

Il contributo che il sempre più vasto patrimonio dei beni mobili, immobili e aziendali sequestrati e confiscati alle mafie, alla criminalità economica e ai corrotti può apportare agli sforzi per assicurare una ripresa in Italia post pandemia, sarebbe sicuramente maggiore se tutti i beni fossero rapidamente restituiti alla collettività e le politiche sociali diventassero una priorità politica a sostegno dei diritti all’abitare, alla salute pubblica, alla sostenibilità ambientale, al lavoro dignitoso ed ai percorsi educativi e culturali.

Beni confiscati, la Calabria è seconda

Dal dossier Fattiperbene emerge che sono 36.600 i beni immobili (particelle catastali) confiscati dal 1982 ad oggi, il 48% sono stati destinati dall’Agenzia nazionale per le finalità istituzionali e sociali, ma ben 5 beni su 10 rimangono ancora da destinare.

Il maggior numero di beni immobili confiscati è in Sicilia(6906), seguono Calabria (2908), Campania(2747), Puglia(1535) e Lombardia (1242). Sono invece 4384 le aziende confiscate, di queste il 34% è stata già destinata alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse; il 66% è in questo momento ancora in gestione presso l’Anbsc. Anche qui la Sicilia è prima tra le regioni per il numero aziende destinate (533) seguono Campania (283), Calabria (204) e Lazio (160).

Reggio Calabria la provincia con maggior numero

La provincia di Reggio Calabria risulta quella con il maggior numero di beni confiscati destinati per finalità istituzionali e sociali con 2.097 beni mentre sono1.120 quelli ancora da destinare mentre la provincia di Vibo Valentia risulta quella con più beni ancora da destinare (243).

Sono invece 497 le aziende confiscate di queste il 41% è stata già destinata alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse; il 59 % è in questo momento ancora in gestione presso l’Anbsc. Anche qui la provincia di Reggio Calabria risulta quella con maggior numero di aziende già destinate alla alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse( 117) mentre sono 172 quelle ancora in gestione presso l’Anbsc.

Don Ciotti: “la legge va migliorata, troppe lungaggini”

“In questi 25 anni – commenta Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera – abbiamo assistito a un lavoro straordinario: il lavoro della magistratura e delle forze di polizia per individuare i beni frutto degli affari sporchi delle mafie, e renderne operativa la confisca; il lavoro di associazioni ed enti pubblici per restituire davvero quei beni alla gente, trasformandoli in scuole, commissariati, centri aggregativi per giovani e anziani, realtà produttive che offrono lavoro pulito e rafforzano il tessuto sociale ed economico dei territori.

“Un enorme lavoro corale, insomma, che dopo 25 anni ci chiede però uno scatto ulteriore di impegno, intelligenza e determinazione. La legge può essere migliorata, potenziata sia nel dispositivo che soprattutto nell’attuazione. C’è una debolezza strutturale dello Stato nei confronti delle mafie che vive di lungaggini burocratiche, disordine normativo, competenze non sempre adeguate. Non possiamo permettere che tutto questo si traduca in un messaggio pericoloso: cioè che la 109 è un bluff, uno specchietto per le allodole”.

 

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