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Caporalato: operazione “Rasoterra” della Polizia, nove arresti

Calabria

Caporalato: operazione “Rasoterra” della Polizia, nove arresti

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In manette datori di lavoro, caporali e faccendieri accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e intestazione fittizia di beni

 

GIOIA TAURO (RC) – Operazione di Polizia questa mattina, coordinata dalla Procura della Repubblica di Palmi, per l’esecuzione di 9 ordinanze di custodia cautelare – tre in carcere e sei ai domiciliari – emesse nei confronti di altrettanti soggetti della Piana di Gioia Tauro ritenuti responsabili, a vario titolo, in qualità di datori di lavoro, caporali e faccendieri, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e intestazione fittizia di beni.

Nell’operazione ribattezzata “Rasoterra” sono impiegati 80 uomini e donne della Polizia.

Gli investigatori, che hanno eseguito anche perquisizioni domiciliari a carico degli indagati e sequestrato un’azienda agricola, ritengono di aver fatto piena luce su alcune vicende di grave sfruttamento lavorativo nelle campagne della Piana di numerosi migranti di origini subsahariana alloggiati nella baraccopoli di San Ferdinando, smantellata nel mese di marzo 2019.

Il sequestro dei beni ha interessato la provincia di Reggio Calabria e la città di Caserta. L’indagine si riferisce a diversi episodi legati al fenomeno del caporalato avvenuti tra il giugno 2018 e il giugno 2019. Dalle attività di controllo delle aziende e delle colture agrumicole in cui i migranti lavoravano come braccianti, dalle deposizioni di alcuni braccianti sottoposti a sfruttamento e infine grazie alle intercettazioni telefoniche, è emerso un contesto di assoluto rilievo criminale caratterizzato dal continuo verificarsi di condotte delittuose poste in essere da datori di lavoro, caporali e faccendieri. Erano loro, secondo gli inquirenti, a reclutare, utilizzare, assumere e impiegare lavoratori extracomunitari a basso costo. Approfittando del loro stato di estremo bisogno economico, gli indagati li destinavano al lavoro nei campi in condizioni di sfruttamento.

L’imprenditore Filippo Raso, principale indagato

E’ ritenuto vicino alle cosche Piromalli e Molé, l’imprenditore Filippo Raso, 52 anni, principale indagato dell’inchiesta “Rasoterra”. Oltre a lui, in carcere sono finiti due caporali: il senegalese Ibrahim Ngom detto “Rasta” di 40 anni, e Kader Karfo detto “Cafù”, 41enne della Costa d’Avorio. Il gip ha disposto, inoltre, i domiciliari per Mario Montarello, Giacomo Mamone, Francesco Calogero, Domenico Careri, Vincenzo Straputicari e Pasquale Raso. Quest’ultimo è il figlio di Filippo, coinvolto nell’inchiesta così come la sorella Raffaella, indagata perché fittiziamente proprietaria dell’azienda agricola sequestrata oggi nell’ambito dell’inchiesta.

La ditta individuale, infatti, era gestita dal padre il quale, secondo l’accusa, sfruttava i migranti che vivevano nella baraccopoli di San Ferdinando. Approfittando del loro stato di bisogno, Raso e altri imprenditori agricoli reclutavano i braccianti africani e li costringevano a lavorare in condizioni disumane e di pericolo. Anche sotto la pioggia, la loro paga era di 50 centesimi per ogni cassetta di agrumi raccolta. L’inchiesta ha dimostrato i contatti tra Filippo Raso con i caporali e i faccendieri che operavano al suo servizio e che controllavano i migranti nei campi. L’imprenditore agricolo legato ai clan della Piana di Gioia Tauro sarebbe stato a capo di un sistema. A suo servizio, infatti, ci sarebbero stati i caporali “Rasta” e “Cafù”.

Il primo aveva il compito di reclutare i braccianti, mentre il secondo si occupava del pagamento delle giornate di lavoro e di guidare i furgoni a bordo dei quali gli extracomunitari venivano condotti nei campi. Furgoni che sarebbero stati recuperati dall’indagato Giacomo Mamone. Nel sistema “Raso” sarebbero rientrati anche il figlio Pasquale e Montarello e Careri. Ma anche Francesco Calogero, il titolare di un’azienda agricola che si occupava di veicolare le direttive di Filippo Raso. Per il questore Bruno Megale “è un’attività che si inserisce nel solco di una serie di servizi che stiamo svolgendo nella Piana, in un territorio particolarmente difficile.

La presenza di cittadini immigrati che si concentrano in quella zona ha fatto insorgere il timore che si potessero verificarsi episodi di intolleranza”. “Le intercettazioni ci hanno dato uno spaccato criminale e inquietante – ha affermato il capo della squadra mobile Francesco Rattà -. Alcuni lavoratori, che trovavano alloggio nella baraccopoli, venivano reclutati dai caporali e pagati al giorno 25 euro, un prezzo più che dimezzato rispetto a quanto stabilisce il contratto collettivo”. durante le perquisizioni di stanotte è stata trovata una pistola e piccoli quantitativi di sostanza stupefacente.

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