Italia
Scuola, il 50% del personale ha fatto il test sierologico. Sono 13mila i positivi
 
																								
												
												
											Quasi mezzo milione di persone, tra docenti e personale, ha effettuato il test sierologico. Sono circa 13mila quelli risultati positivi che non prenderanno servizio fino all’esito del tampone. Sulla riduzione del tempo di quarantena il monito dell’Ecdc “comporterebbe una perdita di rilevamento dei casi sintomatici tra i contatti stretti di circa il 6%”
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COSENZA – Quasi il 50% del personale della scuola, pari a circa 500mila tra docenti e non docenti, ha svolto il test sierologico per il Covid 19 e di questi il 2,6% – cioè circa 13mila persone – è risultato positivo e non prenderà servizio fino a quando il tampone non darà esito negativo. Sono i dati dell’ufficio del Commissario per l’emergenza Domenico Arcuri che aveva avviato nelle settimane scorse la campagna con la distribuzione di 2 milioni di test agli istituti scolastici. Il dato non tiene conto dei 200mila tra docenti e non docenti del Lazio in quanto la regione sta operando in maniera autonoma. La regione più virtuosa è la Lombardia, con il 70% di test effettuati mentre all’ultimo posto c’era la Sardegna con solo il 5% del personale che si è sottoposto ai test. Entro il 24 settembre dall’Ufficio del commissario prevedono che la percentuale possa salire al 60-70%
Intanto, a poco più di due giorni dalla riapertura delle scuole, che resta la “priorità assoluta” per premier e ministri, con il governo impegnato a ribadire più volte che non ci sarà alcun rinvio nel ritorno in aula e che solo la prossima settimana affronterà la questione di una possibile riduzione dei tempi della quarantena, l’incremento dei casi di Covid 19 schizza a numeri che non si registravano nel nostro paese dalla fine di aprile: quasi 1.600 nuovi casi nelle ultime 24 ore, nove volte più di quelli di due mesi fa (l’11 luglio furono 188), che fanno salire il totale a 283.180 contagiati dall’inizio della pandemia. Dieci invece le vittime, quattro meno di mercoledì.
Dal bollettino quotidiano del Ministero della Salute emergono dunque una serie di dati che confermano il trend delle ultime settimane – con l’aumento costante dei casi dovuto al rientro dalle vacanze – e la conseguente necessità di non abbassare la guardia: oltre al dato complessivo sono infatti in aumento anche il numero malati, quello dei ricoverati nelle terapie intensive e anche il dato relativo ai pazienti nei reparti ordinari. Gli attualmente positivi sono 35.708, 613 più di mercoledì e le persone ospedalizzate sono 1.836, 58 in più. Nelle rianimazioni i ricoveri per Covid sono arrivati a 164, 14 in più rispetto a mercoledì ma soprattutto quattro volte quanti erano poco più di un mese fa. Numeri che trovano conferma anche nell’analisi settimanale della Fondazione Gimbe: nella settimana tra il 2 e l’8 settembre si è registrato un aumento dei nuovi casi (9.964 contro 9.015), degli attualmente positivi (33.789 contro 26.754), delle terapie intensive (143 contro 107), dei ricoverati con sintomi (1.760 vs 1.380). “Sono tutti segnali che – dice il presidente Nino Cartabellotta – guardando a quello che sta accadendo in Francia, impongono di mantenere molto alta l’attenzione”.
Una linea, quella della massima prudenza, che fin dall’inizio dell’emergenza ha contraddistinto tutte le scelte del ministro della Salute Roberto Speranza. E condizionerà anche le prossime, a partire dalla possibilità di ridurre il periodo di quarantena ad una decina di giorni. Una decisione definitiva non è comunque ancora stata presa: nelle prossime ore il ministro vedrà il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo, per parlare di questo ma anche di tutti gli altri aspetti connessi alle scelte da fare nelle prossime settimane, e martedì si riunirà il Comitato con all’ordine del giorno una valutazione più ampia della questione anche alla luce dei dati che arriveranno dopo il primo giorno di scuola. In attesa della valutazione degli esperti e dei tecnici la linea di Speranza resta dunque quella della cautela e, in ogni caso non si arriverà mai alla proposta avanzata in Francia di dimezzare il periodo di quarantena da 14 a 7 giorni.
EDC riduzione quarantena riduce la scoperta dei casi
Ma la riduzione del periodo di quarantena da 14 a 10 giorni “comporterebbe una perdita di rilevamento dei casi sintomatici tra i contatti stretti dei casi confermati di circa il 6%”. E’ quanto afferma il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) in un documento, di cui l’ANSA è in possesso, di risposta ad una richiesta specifica avanzata dalla Germania. La percentuale del 6%, aggiunge l’Ecdc, è “abbastanza ampia da avere rilevanza per la salute pubblica in uno scenario in cui il livello di esposizione è alto (come la quarantena dei contatti stretti)”.
Lo scorso 27 agosto la Germania aveva posto un quesito specifico, chiedendo se le evidente scientifiche supportassero una riduzione della quarantena da 14 a dieci giorni. La risposta degli esperti dell’Ecdc è arrivata 5 giorni dopo, il 1 settembre “Sulla base delle evidenze descritte di seguito – si legge nel documento – l’Ecdc ritiene che non vi siano prove sufficienti per supportare una diminuzione del periodo di incubazione del Covid 19 da 14 a dieci giorni. L’Ecdc continua a monitorare e riesaminare le prove non appena sono disponibili per garantire aggiornamenti tempestivi nelle sue valutazioni”. Allo stato delle conoscenze attuali, dice infatti il Centro europeo, una riduzione in questi termini determinerebbe appunto una perdita nel rilevamento dei casi quantificata attorno al 6%. La valutazione degli esperti, si legge ancora nel documento, si basa su cinque differenti studi che esaminano l’intervallo di tempo di incubazione del Covid 19 dopo l’esposizione all’infezione.
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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