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Ergastolo ostativo, durissimo Gratteri: “demolita la lotta alle mafie”

Calabria

Ergastolo ostativo, durissimo Gratteri: “demolita la lotta alle mafie”

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Per chi come lui combatte da anni, anche a rischio della propria vita, le mafie quella della Corte Europea di Strasburgo è una sentenza “illogica e irrazionale”

 

CATANZARO – La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha giudicato l’ergastolo ostativo, il carcere duro riservato ad esempio a mafiosi e brigatisti che non collaborano con la giustizia, come trattamento ‘degradante ed inumano’, e ha chiesto al nostro Paese di intervenire per rimettere in discussione il sistema di giustizia riservato ai colpevoli dei reati più gravi. Quella dei giudici di Strasburgo è una decisione che va a confermare quella emessa a giugno su Marcello Viola, boss calabrese della ‘ndrina di Taurianova il quale, condannato a 4 ergastoli per plurimi omicidi, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi, non ha diritto al lavoro all’esterno, ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione.

 

 

In merito il procuratore Nicola Gratteri non usa mezzi termini: «E’ stata demolita la lotta alle mafie». Il riferimento è alla sentenza con la quale la Corte Europea di Strasburgo, ha chiesto all’Italia di rivedere l’ergastolo ostativo. Gratteri, magistrato antimafia che lotta da anni in prima linea contro la ‘ndrangheta, ha definito la sentenza illogica e irrazionale: «un boss non smette mai di essere tale, per cui l’idea che un giorno possa comunque uscire dal carcere diventa la prospettiva per tornare a essere un capo a tutti gli effetti, mantenendo in maniera sempre più forte i contatti con l’esterno». «Con questa decisione passa l’idea che si possa commettere qualunque crimine, tanto prima o poi potrai uscire dalla galera, conservando – prosegue il magistrato -la caratura criminale che deriva dalla forza di non collaborare, ma di chiudersi nell’omertà assoluta».

 

 

Ma quello che rischia di cadere è un punto fondamentale per la lotte alle mafie ovvero la possibilità che molti detenuti decidano di collaborare con gli inquirenti: «Il regime del 41 bis e quello dell’ergastolo hanno rappresentato fino ad oggi – ha sottolineato Gratteri – la garanzia che il boss sarebbe rimasto in carcere senza poter più esercitare il suo potere, anche per questo molti di essi hanno deciso di collaborare, cosa che adesso rischia di non avvenire più». Gratteri è preoccupato per gli effetti che potranno esserci non solo in Italia: «I mafiosi tireranno ora un grande sospiro di sollievo, perché quello espresso dalla Corte di Strasburgo è un principio devastante per il nostro sistema antimafia che non può essere paragonato o uniformato a quello di altre realtà perché qui ci sono specificità assolutamente diverse».

 

LE PAROLE DELLA VEDOVA FORTUGNO

“Le mafie non sono un fenomeno criminale come gli altri. E lo Stato non può affrontare un’emergenza come quella mafiosa utilizzando strumenti ordinari ma deve fare ricorso a misure eccezionali. Se non si comprende questo, la lotta alle organizzazioni mafiose sarà destinata al fallimento. Sarebbe una tragedia”. Lo afferma Maria Grazia Laganà Fortugno, già deputata della Repubblica e vedova di Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria ucciso dalla ‘ndrangheta il 16 ottobre 2005. Tra pochi giorni ricorrerà il 14mo anniversario dell’omicidio politico-mafioso più grave della storia calabrese, che sarà ricordato a Locri con una sobria cerimonia alla presenza di autorità di governo, magistrati, esponenti delle istituzioni e soprattutto una larga platea di studenti per promuovere la cultura della legalità.

 

“Pur avendo rispetto di quanto stabilito dalla Cedu sull’ergastolo ostativo – prosegue Maria Grazia Laganà Fortugno – sono convinta che gli effetti della sentenza rischiano di essere letteralmente devastanti nella guerra condotta dallo Stato contro i clan. L’allarme lanciato in queste ore da magistrati in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta deve stimolare una riflessione seria e immediata. Occorre trovare una soluzione giuridica in grado di garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini e l’efficacia delle azioni di contrasto ai clan”. L’esponente politica locrese conclude: “Il messaggio che rischia di passare è terribile, oltre che offensivo della memoria di vittime innocenti e di uomini e donne dello Stato che hanno perso la vita a difesa della libertà di tutti.

 

 

Pensare che, nel tempo, possa tornare serenamente alla propria vita un mafioso che si è macchiato di decine, se non di centinaia, di delitti, mina alle fondamenta la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto. Bisogna far comprendere a tutti, iniziando dalle giovani generazioni, che essere mafiosi è ingiusto e sbagliato, ma soprattutto che se intraprendi quella strada sei destinato a passare il resto della tua vita in carcere. L’unico modo per affermare lo Stato di diritto e la legalità è prevedere pene certe e durissime. E sarebbe ora che, invece di tentare di modificare il nostro ordinamento, fossero gli altri Paesi europei ad adeguarsi al livello della legislazione antimafia italiana perché parliamo ormai di un fenomeno globale”.

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