Cosenza
“Il mediano di Mauthausen”: l’ex granata Vittorio Staccione tra calcio, passione e regime
E’ la storia di un calciatore e a scriverla è Francesco Veltri, giornalista cosentino, che dedica un volume a Vittorio Staccione, passato anche da Cosenza. Non un calciatore qualunque però: la sua, è una vita che cambia radicalmente in un freddo pomeriggio d’inverno del 1915.
COSENZA – Vittorio Staccione è il protagonista della storia raccontata da Francesco Veltri, che mette insieme la carriera di un calciatore, passato anche da Cosenza dove ha giocato 3 anni, la storia di una persona che ha combattuto il fascismo con la sua vita e parallelamente la storia del sogno di un bambino di 11 anni che diventerà un calciatore. A dedicare all’ex mediano granata un libro è Francesco Veltri, giornalista cosentino, innamorato dello sport e appassionato di politica e sociale. Edito da Diarkos (Gruppo Rusconi), nella stesura del suo libro si è avvalso della preziosa collaborazione di Federico Molinario, pronipote di Staccione che ha scritto l’introduzione, e di Eraldo Pecci (ex calciatore e attualmente opinionista fisso alla Domenica Sportiva su Rai2) che ha scritto la prefazione.
Ai microfoni di RLB, radio nella quale ha lavorato per oltre 10 anni quale giornalista radiofonico, Francesco Veltri racconta il percorso che lo ha portato ad avventurarsi nella scrittura del suo primo lavoro editoriale
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Era ancora un bambino infatti, Staccione, e come molti suoi coetanei stava giocando a pallone insieme ai suoi amici in un campo dissestato del quartiere operaio di Madonna di Campagna, a pochi passi da casa sua, quando è stato notato da Enrico Bachmann, il mitico capitano del Torino.
«Ti andrebbe di allenarti con i ragazzi del settore giovanile?» fu la domanda rivolto da Bachmann al piccolo Vittorio che incredulo rispose di sì. Quella fu una svolta per sempre. In pochi anni, quell’umile ometto tutto corsa e sacrificio che di ruolo fa il mediano, diventerà un elemento importante della compagine della sua città, fino alla conquista dello scudetto insieme a campioni assoluti come Libonatti, Baloncieri e Rossetti.
Ma alla passione per il calcio, Vittorio, spinto da suo fratello Francesco, alterna quella per la politica e delle lotte sociali all’interno delle fabbriche con la povertà dilagante che porta il giovane e puro calciatore torinese a non chinare il capo di fronte a ogni genere di sopruso. Un punto fermo il suo che, in un periodo in cui la prepotenza del regime fascista inizia a limitare i movimenti di chi non si allinea alle regole di Benito Mussolini e che Staccione pagherà caro.
Il calcio e il regime, l’amore e il dramma
Nel 1927 è ingaggiato dall’ambiziosa Fiorentina del marchese Luigi Ridolfi, amico intimo del Duce, e qui, pur essendo considerato dai tifosi il calciatore più rappresentativo della squadra viola, viene costantemente intimidito e perseguitato dalle camicie nere per le sue frequentazioni antifasciste. In Toscana si innamora perdutamente di Giulia Vannetti che, diventata sua moglie, in breve tempo gli procurerà una felicità immensa ma anche un dolore devastante. La ragazza rimane incinta e, pochi giorni dopo il parto, muore insieme alla bambina che portava in grembo, lasciando suo marito nello sconforto più totale. Uno shock che, unito all’attivismo politico, condizionerà il percorso professionale di Vittorio, costretto a finire, all’apice della sua carriera, a giocare in serie C.
Lasciato il calcio ad appena 31 anni, l’ultimo atto della sua esistenza si consuma in una Torino assediata dai tedeschi e ridotta a pezzi da una guerra assurda e soffocante. Lavora come operaio e a seguito degli scioperi nelle fabbriche del marzo del 1944, viene arrestato su delazione e consegnato al Comando Germanico.
Sul treno che lo porterà nel terribile campo di sterminio di Mauthausen, l’ex mediano granata lascerà tutto se stesso, dai successi sportivi e la gloria personale al ricordo di un amore spezzato brutalmente da un destino ingiusto e balordo proprio come quei giorni di bombe, miseria e morte.
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