Cosenza
Resistenza a pubblico ufficiale, in appello confermata assoluzione per Candido e Mario Perri
 
																								
												
												
											La Corte di Appello conferma la sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Cosenza nei confronti dei fratelli Perri accusati di resistenza a pubblico ufficiale
COSENZA – Un “groppone” di accuse difficili a far scivolare via. Eppure la difesa dei due imputati, rappresentati dagli avvocati Giampiero Calabrese (per Candido Perri) e Angela D’Elia (per Mario Perri) è riuscita a smontare il castello accusatorio udienza dopo udienza. Arrestati a giugno del 2011 dai Carabinieri di Cosenza per i reati di resistenza a pubblico ufficiale aggravato, porto e detenzione di armi in luogo pubblico, droga e favoreggiamento personale a seguito dell’udienza di convalida, il Giudice non convalidò l’arresto e rimise in libertà i fratelli Perri. Successivamente la Procura della Repubblica di Cosenza emise decreto di citazione a giudizio innanzi il Tribunale di Cosenza solo per il reato di resistenza a pubblico ufficiale. I rimanenti capi d’imputazione non vennero più contestati.
Successivamente in dibattimento, anche attraverso una istruttoria con momenti di forte tensione ed attrito in cui i teste di polizia giudiziaria non vennero ritenuti credibili dal Tribunale, emersero le contraddizioni tra le dichiarazioni delle forze dell’ordine ed anche nelle loro singole ricostruzioni degli avvenimenti, così come l’assenza di alcuni corpi del reato che dovevano essere stati sequestrati (il coltello, ndc).
In primo grado il processo finì con una sentenza assolutoria, appellata dalla Procura Generale. Oggi, dopo che la Corte di appello aveva su richiesta dell’avvocato Calabrese disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, la Corte di Appello di Catanzaro, ha confermato la sentenza assolutoria di primo grado per inammissibilità dell’appello da parte della Procura Generale di Catanzaro.
I FATTI
Un gruppo di carabinieri in servizio antidroga nel centro storico intervenne all’interno di un cortile dove si trovavano all’incirca una decina di persone. Secondo i carabinieri c’era un via vai sospetto di motorini e due persone fumavano uno spinello. Durante il loro intervento si sarebbero avventati Mario e Candido Perri, il primo in difesa del secondo reagendo contro il tentativo di perquisizione, tentativo acconsentito dal resto del gruppo. Si legge nell’ordinanza “Seguì un parapiglia all’esito del quale i due fratelli – uno dei quali con in mano un coltellino, ma entrambi inveendo in modo oltraggioso e minaccioso contro gli operanti – vennero resi innocui”.
I due fratelli giunti in caserma furono tratti in arresto ma il giudice non convalidò l’arresto e rigettò l’applicazione della misura cautelare richiesta nei loro confronti disponendone l’immediata liberazione. L’accusa formulata fu “per avere in concorso tra loro usato minaccia e violenza allo scopo di impedire il compimento di doveroso atto del loro ufficio di cinque carabinieri mentre questi stavano procedendo alla perquisizione di altri soggetti che erano stati visti in possesso di sostanza stupefacente; per essersi frapposti tra i predetti individui e i militari ostacolando l’atto di polizia giudiziaria, nonchè impedito contro gli operanti sospingendoli all’indietro e permettendo al gruppo di individui di liberarsi di due involucri di sostanza stupefacente”.
L’istruttoria dibattimentale, il coltello non è agli atti
Durante il processo si acquisisce la comunicazione da parte dei carabinieri del mancato ritrovamento del coltello in sequestro, comunicando che”non risultava giacente nessun coltello presso quegli uffici che non sono stati riscontrati atti attestanti l’avvenuto deposito all’Ufficio corpi reato”.
Per l’accusa, i due fratelli avrebbero ostacolato, dunque, i militari nello svolgere il lavoro di controllo ed accertare chi fosse in possesso degli involucri di stupefacente ritrovati a terra. Uno dei militari escussi affermò l’esistenza di questo coltello a serramanico da 7 centimetri in mano a Candido Perri non menzionato poi negli atti. Un altro militare rispondendo alle domande in aula ricordò i fatti accaduti in via Gaeta ma dichiarò “di non sapere attribuire una condotta specifica ai due imputati perchè assieme agli altri avrebbero circondato i due carabinieri”; inoltre non ricordò frasi o atteggiamenti particolari se non il diverbio tra Candido Perri e il carabiniere: “il primo fece la voce grossa in quanto riteneva ingiusto quel controllo (una sorta di persecuzione) e gli altri si facevano forti”.
La versione dei teste a discarico degli imputati
Per i teste escussi in aula il parapiglia si verificò quando la perquisizione nella piazzetta di via Gaeta si dimostrò più approfondita da parte dei carabinieri “sondando le parti intime” dei presenti. Quest’ultimi chiesero di eseguire la perquisizione nel magazzino del circolo ricreativo. Richiesta negata con la pretesa da parte delle forze dell’ordine che la perquisizione si svolgesse nella piazzetta. E’ a quel punto che Candido Perri manifestò la volontà di chiamare l’avvocato perchè quel gesto lo riteneva un abuso. E nessuno vide un coltello durante il parapiglia. Inoltre Candido Perri davanti al Giudice monocratico, in fase di convalida, dichiarò di non avere brandito nessun coltello ma “che fece riferimento ad un tagliaunghie che portava dietro a mo’ di portachiavi e che stava utilizzando per pulire le unghie”. Il fratello Mario si frappose tra i due per evitare che la lite degenerasse.
L’assoluzione
Il giudice monocratico, in primo grado, motivò l’assoluzione evidenziando come dall’istruttoria dibattimentale non emerse nessuna condotta che fosse riconducibile al concetto di violenza o minaccia e che questa poteva essere una percezione dei militari dell’Arma sentitisi accerchiare dai ragazzi in via Gaeta. Durante il processo l’unica condotta descritta fu quella del Candido Perri, dello spintone al carabiniere e del possesso di un coltello che non risultò in sequestro agli atti. Tra l’altro il parapiglia sarebbe accaduto dopo la prima perquisizione eseguita su uno dei ragazzi presenti, nessuno armato. Per il giudice, dunque, la condotta di Candido Perri non pregiudicò l’operato delle forze dell’ordine. Per queste conclusioni i due fratelli furono assolti perchè il fatto non sussiste.
Il ricorso in appello
La Procura Generale decise di ricorrere in appello nel maggio del 2018, per la decisione “errata in fatto e in diritto” sottolineando la condotta minacciosa posta in essere nei confronti dei carabinieri nel mentre gli stessi compivano un atto del loro ufficio. Ma la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza assolutoria dei due imputati
 
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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