Cosenza
Enzo Tortora, Lettere a Francesca: l’ingiusto processo
 
																								
												
												
											Per non dimenticare “la Giustizia ingiusta”. Lottare per una coscienza civile maggiore e seminare il seme del garantismo
COSENZA – Lettere a Francesca, pubblicato da Pacini Editore con una prefazione di Giuliano Ferrara raccoglie alcune delle lettere che Tortora scrisse dal carcere alla compagna Francesca Scopelliti tra il giugno del 1983 e il gennaio del 1984. Questo libro nasce dall’incontro di Francesca Scopelliti e della Fondazione Enzo Tortora con l’Unione delle Camere Penali Italiane e si propone come uno strumento utile a continuare la straordinaria battaglia politica che un uomo retto e coraggioso ha combattuto fino all’ultimo insieme al suo Partito radicale per l’affermazione della responsabilità civile dei magistrati, della terzietà del giudice, della separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante nonché della cultura di un processo penale che non venga inquinato dal circo mediatico-giudiziario.
 
All’incontro tenutosi al Tribunale di Cosenza presso la biblioteca dell’Ordine degli avvocati di Cosenza hanno presieduto l’avvocato Vittorio Gallucci, presidente dell’ordine degli avvocati di Cosenza, l’avvocato Marcello Manna componente giunta Unione delle Camere Penali Italiane, l’avvocato Maurizio Nucci presidente della Camera penale di Cosenza, l’avvocato Emilio Greco referente territoriale Associazione “Giustizia Giusto Enzo Tortora”. Moderatore l’avvocato Guido Siciliano consigliere direttivo della Camera Penale di Cosenza. Durante l’incontro sono stati previsti gli interventi artistici del maestro Ivano Biscardi, docente del Conservatorio Corelli e del Regista Graziano Olivieri – targa “Cosenza ed i suoi talenti”

Da sinistra l’avvocato Guido Siciliano, la senatrice Francesca Scopelliti, l’avvocato Maurizio Nucci
Ha concluso i lavori la senatrice Francesca Scopelliti, responsabile dell’osservatorio Miur e presidente della Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora che ha ricostruito la storia “ingiusta” che ha colpito Enzo Tortora: «Sono state scelte le lettere più toccanti, un po’ più private – prende la parola la senatrice Scopelliti davanti una folta platea di avvocati, professionisti e cittadini che ha affollato l’incontro. Anche queste emozioni sono una denuncia alla ingiusta detenzione. Mi è venuta in mente una mia marachella. La fisarmonica era lo strumento che amava molto mio nonno Mario. Quando venne a trovarci avevo imparato una canzone e gliela ho suonata. Mi regalò 50 euro per comprare una fisarmonica, ma io non la comprai».
 
E poi riprendendo la serie di interventi che l’hanno preceduta -. «Avete rappresentato una summa che rappresenta tutta la completezza della vicenda di Enzo. Oggi la politica avrebbe bisogno di un nostro intervento. Giuliana Ferrara nella sua introduzione mi dice: “il processo Tortora lo sappiamo non è mai realmente finito, il carcere lo sappiamo non è a tutt’ora adeguato ad uno stato di diritto. E ogni tanto penso mia cara Francesca che morendo di passione e con onore il tuo Enzo ha perso tutto e si è perso a tutti ma ha guadagnato l’oblio su quel che sarebbe seguito”.
Io ho pensato fino ad adesso che la politica avesse raggiunto il massimo facendo tesoro della vicenda di Enzo, analizzando un caso clinico per trovare le cause ed i rimedi. Ma oggi mi accorgo che non c’è fine al peggio e oggi è necessario un impegno collettivo. Questo libro non lo devono leggere solo gli avvocati ma deve essere un libro di tutti, meglio ancora se lo leggono i magistrati, come esame per accedere al concorso. Ci deve essere una coscienza civile maggiore. Davanti ad un arresto non ci chiediamo se sia innocente, facciamo spallucce fino a quando non ci riguarda; e magari c’è anche una parte di società che per colpa di una certa politica divenuta giustizialista e che quando sente la notizia di qualcuno che viene arrestato si dice “e lì deve rimanere, buttate le chiavi”.

Da sinistra l’avvocato Vittorio Gallucci, l’avvocato Marcello Manna e l’avvocato Emilio Greco
E se noi come società non riusciamo a capire che dobbiamo avere anche noi un cambio di indirizzo rischiamo di andare ad alimentare un fiume che è già in piena. Diceva l’avvocato Manna di portare il libro nelle scuole. Io sono stata nominata responsabile del Miur e l’ho già fatto: andare a parlare con i ragazzi nelle scuole perché è lì che dobbiamo lavorare e far nascere una nuova coscienza e seminare il seme del garantismo, la sana e civile convivenza in uno stato di diritto.
Quando si parla delle vicenda di Enzo si parla di errore giudiziario. L’avvocato Nucci ha precisato: non era un errore. Ed io preciso: è stato un crimine giudiziario. E’ stato arrestato senza uno straccio di indagini: no pedinamenti, intercettazioni telefoniche, indagini bancarie e fiscali, nulla. E’ stato arrestato sulla dichiarazione di alcuni pentiti. Era il ’73 in cui la criminalità organizzata aveva sferrato dei colpi mortali; era l’anno in cui Falcone a Palermo aveva lanciato Buscetta come pentito della mafia e Napoli non voleva essere da meno. Quindi prese questi due farabutti senza valutare quella che era la veridicità delle dichiarazioni.
Enzo viene arrestato alle 4 di notte, viene portato nella caserma di Roma dove rimase fino alle 11 del mattino. Enzo continuava a chiedere perché sono qui, che cosa ho fatto. Da qui viene trasferito nel carcere di Regina Coeli. E la macchina viene messa a 50 – 60 metri per permettere la passeggiata, il carosello della vergogna dove Enzo doveva farsi vedere con i ferri in mano, non le manette. I due procuratori napoletani Lucio Di Pietro e Felice Di Persia pensavano che Enzo avesse nascosto i polsi e chinato il capo. E invece no: a testa alta e con i polsi in alti disse ai giornalisti che si affiancavano verso di lui “seguitelo questo processo perché è una vergogna”. Capì subito che quel giorno era stata già scritta la sentenza di condanna
Forse i due procuratori sono caduti nell’inganno dei collaboratori di giustizia e posso immaginarlo fino al giugno dell’83. A quel punto però di prove non c’era nulla.
 
Poi esce fuori una lettera in cui si leggeva che Enzo non aveva distribuito ecc.ecc. Cos’era quella lettera: era stata scritta per conto del suo compagno di cella di Pianosa relativo a dei centrini che si voleva che si mettessero in vendita a Portobello. Questa lettera all’improvviso faceva pensare si parlasse di droga. Enzo per fortuna aveva tenuto la risposta. L’aveva catalogata ed archiviata. “Mi dispiace che i suoi centrini siano stati smarriti ma ho già dato disposizione all’ufficio legale della Rai che vengano rimborsati”. A quel punto il cancelliere finì di scrivere a macchina e i due magistrati si inarcarono e Di Pietro ebbe la faccia tosta di dire “Buona fortuna Tortora”
Due magistrati onesti avrebbero dovuto dire Tortora ci Scusi, siamo caduti nel tranello di due collaboratori. Ma non l’hanno fatto. A quel punto inizia il crimine. A quel punto decidono che Enzo doveva essere per forza colpevole. Nelle lettere scrive “Sarà battaglia grossa e dura, lunga, penosa tra me bersaglio ormai designato e la protervia miserabile vanità di due autorevoli che non possono per definizione sbagliare”. “Ciò che a loro preme urge è costruirmi delinquente, frugando nella pattumiera delle lettere anonime in prede ad una diabolica frenesia. Io sono la ragione della loro immensa e credo storica retata nazista. Ora devono giustificarla e cercano le prove
E siccome prove su Enzo non ce n’erano perché era un uomo noiosamente corretto. Era un signore dell’800 che pagava le tasse, le multe, tutto quello che istituzionalmente era giusto per essere un uomo corretto. Prove non ce n’erano. Lo costruiscono delinquente con due strumenti: una campagna stampa feroce, creando nell’opinione pubblica il convincimento della colpevolezza per arrivare ad una sentenza già scritta. Da una parte la stampa dall’altra i pentiti.
Enzo è morto lasciando un testamento di grande dolore ma di grande nobiltà d’animo. Invece di essere vittima è diventato padre nobile di una battaglia sulla giustizia giusta. Enzo è morto i suoi carnefici hanno fatto tutti carriera. Alla faccia della responsabilità dei magistrati.
Voglio ritornare al discorso di prima. Quando Enzo Tortora morì la mattina del 18 maggio 1988, Marco Pannella volle comunicarlo alla Camera dei Deputati con queste parole: “Tortora non va considerato come una vittima, perché ha saputo non essere consenziente allo strazio di legalità e di diritto, perché non è stato tonto, non ha accettato il ruolo tragico di vittima, non ha consentito che la giustizia fosse vittima. Tortora era un uomo di cultura e non di potere, né nelle istituzioni, né nella professione. Era, dicono, un “presentatore”, ma nessuno come lui ha rappresentato e non presentato o commentato la passione per la giustizia, l’amore per coloro che la condividevano o per coloro che ne soffrivano la mancanza o la violenza. Enzo Tortora ci lascia sperare…”
Convincere una società: se tutti insieme facciamo gruppo e squadra riusciamo a scalfire questa roccia che si è creata nella società. Se il popolo vuole e dice la sua smuove anche la politica più ottusa e becera e oggi abbiamo bisogno di smuovere le acque della legalità e del diritto.
 
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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