Cosenza
Padre Fedele, la lotta continua: «Io non sono un mostro, sono un frate innocente»
Padre Fedele Bisceglia torna in campo a far sentire la sua voce a suon di diritto canonico. Professa la sua innocenza riconosciuta dalla Suprema Corte di Cassazione e si rivolge alla Chiesa perchè lo riceva e alla suora che confessi i peccati “Cosenza attende chiarezza”
COSENZA – «Premetto una cosa importantissima: amo la Chiesa, amo l’ordine francescano, amo il Papa e perdono tutti». Con queste parole padre Fedele inizia la piccola conferenza stampa per richiamare l’attenzione sulla condizione che continua a vivere oggi, all’indomani della provata innocenza da parte della giustizia, di un religioso ormai esiliato dalla Chiesa. «Detto questo la mia è un’operazione evangelica, voglio predicare per convertire – continua a parlare padre Fedele-. Mi appello al diritto Canonico: canone 220 “non è lecito ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode” – e io qui sono stato martorizzato – “o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria integrità” – quindi io ho il diritto di difendere -. Secondariamente, ho ricevuto da monsignor Nolè una lettera datata aprile 2017 di sua Eccellenza monsignor Rodriguez che si appella al canone 693 “se il religioso e chierico, (quando chiede l’indulto per uscire dall’ordine), l’indulto non viene concesso finché egli non abbia trovato un vescovo che lo incardini nella diocesi o almeno lo riceva in prova. In questo ultimo caso trascorsi cinque anni, il religioso viene incardinato nella diocesi per il diritto stesso, a meno che il vescovo non lo abbia respinto”. Io sono stato, invece, tolto dall’ordine, accompagnato alla porta del convento e, scalzo, sono andato in città, sotto i ponti a vivere – commenta padre Fedele».
«Questo è il diritto canonico a cui si appella a questa lettera dell’arcivescovo. Io credo che non sia la lettera scritta dall’arcivescovo, ma uno scribacchino del Vaticano perché altrimenti non direbbe questo. Io adesso mi trovo senza nessuno e invece non dovevo uscire dall’ordine finché non avessi trovato un vescovo. Ecco tutte le mie lettere indirizzate al vescovo di Cosenza, perché io volevo entrare nel suo presbitero. Un’altra cosa importante, non sono io il reo, io sono innocente dichiarato dalla Cassazione e quindi, per favore, non vi appellate ad altro e né alla famosa disobbedienza, perchè io sono stato obbediente fino alla morte e lo sono ancora tutt’ora. La mia azione stamattina è quella di invitare le autorità a un processo canonico. La suora non può dormire sonni tranquilli dopo aver ucciso incoerentemente un sacerdote e chi la difende, in questo caso la Curia di Cosenza e le congregazioni, devono rendere conto a Dio: io non sono un reo, io non sono un mostro, io sono un frate innocente e finché la suora non parla voi avrete sempre padre Fedele che predicherà la giustizia in base al diritto canonico che voi avete disconosciuto. Ecco perchè credo che chi scriva queste lettere non siano i superiori ma altri».
«Ultima cosa; ultimamente ho chiesto un incontro al cardinale della congregazione dei religiosi. Dopo un mese mi chiama il segretario e mi dice che io non potevo accedere a questo incontro. E’ veramente deleterio per un sacerdote innocente non potere colloquiare con il Principe della Chiesa. Non pensiate che io mi fermi qui: continuo la mia battaglia, predico la giustizia, secondo il diritto canonico. Non sono un santo: se fossi come padre Pio mi dovrei stare zitto, in silenzio, ma non ce la faccio. E’ anche vero che la città di Cosenza attende una chiarezza: la suora non se ne parla proprio, nessuno parla della suora. E com’è: tu puoi distruggere un sacerdote così? Tu suora non puoi morire con questo macigno sul cuore, devi rendere conto a Dio e anche agli uomini della città di Cosenza…Pace e bene a tutti e la lotta continua»
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