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Insulti e parolacce

Cultura & Spettacolo

Insulti e parolacce

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L’insulto, o più in generale il turpiloquio, viene usato spesso per mostrare disappunto, ma soprattutto per offendere, per umiliare e per ferire in maniera volgare qualcuno che non ha la nostra stessa idea riguardo a qualcosa.

 

In alcuni casi esso diventa, addirittura, cosa ancor più grave, un gesto intimidatorio tendente a far tacere qualcuno o a persuaderlo a cambiare atteggiamento o a rinunciare a qualche sua legittima pretesa. Esso si serve sempre di parole sconce. L’insulto rientra in quella categoria di parole che potremmo definire “parole in libertà“, che nulla hanno a che vedere con la voglia di voler esporre il proprio pensiero e/o di voler far valere le proprie ragioni.

Nella diffusione dell’uso dell’insulto, internet ha anche la sua parte di responsabilità. Non è stato certo di aiuto nella battaglia che dovrebbe tendere a bandire il turpiloquio da qualsiasi discussione. Anzi il web consente a certi video, contenenti scontri verbali tra personaggi pubblici e farciti di improperi e di volgarità, di diventare virali.

Se è vero che per rendere veloce la comunicazione di un pensiero sulla “rete” è necessaria una destrutturazione del linguaggio, per renderlo breve, questo non può però legittimare le parolacce, che più che ad un’esigenza di brevità rispondono all’idea di una incapacità di esporre la propria opinione ed il tentativo di offrire al pensiero una scorciatoia.

Per esprimere disagio, disappunto, anche in modo forte esistono parole che, alla fine, proprio perché non sono immediate ma mediate e meditate, riescono maggiormente nell’intento di colpire la persona che si vuole in qualche modo redarguire o mettere in riga. Penso agli eufemismi, alle litote, all’ironia e al sarcasmo. Tenendo presente che sono le parole scelte con cura che ti trafiggono e non ti danno via di scampo, non le parolacce.

Le “male-parole”, oltretutto, come dice il termine stesso sono parole andate a male, con le quali non si può ottenere nulla di buono in una discussione, e che hanno come risultato solo quello di farla incancrenire o di farla trascendere in rissa. Nell’usare le “male parole” non si può invocare neanche l‘esercizio della legittima difesa, perché queste non potranno mai essere considerate una metafora, una sorta di parabola che potrebbe rendere il ragionamento convincente e vincente. Esse resterebbero soltanto la plastica dimostrazione di una povertà intellettuale e lessicale della persona che le usa.

È vero che qualche volta la parolaccia può essere liberatoria, un modo per sfogarsi, per non prendersi o prendere troppo sul serio quell’argomento, che magari di serio non ha davvero nulla. Ma molto più spesso però la parolaccia è solo volgarità fine a se stessa, e la testimonianza della perdita dell’autocontrollo. E’ il linguaggio scurrile in generale che dovrebbe essere bandito dalle discussioni, anche quando esso dipende da motivazioni diverse, come ad esempio dalla volontà di segnare l’appartenenza al gruppo o di attirare l’attenzione. La stessa sorte dovrebbe essere riservata al cosiddetto “turpiloquio apotropaico”, quello utilizzato con la sciocca pretesa di scacciare il “male”.

In ogni caso bisogna tenere presente che una mala-parola soprattutto se usata come insulto, prima di offendere o nuocere a qualcuno, nuoce a chi la dice, perché riflette ciò che ha dentro, ne svela il suo animo, in una forma di cui non può, certo, andare fiero.

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