Cultura & Spettacolo
Un’indignazione per ogni occasione
Ci indigniamo ormai per qualsiasi cosa. L’indignazione sembra essere diventata il nostro passatempo preferito.
Le persone che si indignano di più, sono quelle che di solito suscitano il nostro sdegno, mostrando, magari in relazione ad altre vicende, meraviglia e incredulità che ci possa essere gente (come loro!) che compie azioni così riprovevoli da provocare rabbia. Sembra che l’indignazione, dopo essere andata di pari passo con la ribellione e la contestazione, svolgendo anche un’azione catartica, sia diventata negli ultimi anni qualcosa che non solo non mira al miglioramento delle cose verso le quali è rivolta, ma rischia addirittura di peggiorarle. Questo suo cambio di direzione è dovuto al fatto che l’atteggiamento di chi si lamenta e si indigna viene messo in atto spesso a prescindere dall’entità di ciò che determina l’indignazione, come se questa avesse un solo scopo: soddisfare l’indignato.
Sarebbe sciocco mettere però sotto accusa l’idea stessa di indignazione di fronte a tutte le storture che avvengono e che reclamano il diritto sacrosanto della gente di potersi indignare. Corruzione, scandali non possono non suscitare in noi un senso di rabbia, ed è un bene che ciò avvenga, perché se queste ingiustizie non smuovessero le nostre coscienze e non provocassero in loro un moto di sdegno, il passo verso la rassegnazione sarebbe breve e pericoloso.
L’indignazione, però, per portare a qualcosa di concreto, dovrebbe essere manifestata con la speranza di poter ottenere un cambiamento, e non esprimendola in maniera permanente e diffusa in ogni ambito, tanto da diventare una “indignazione a prescindere”. Quando si parla di indignazione cosmica si vuole intendere che essa parte da fatti specifici, ma che poi finisce con il trasformarsi in uno stato d’animo che si autoalimenta e che pervade ogni campo. Qualcosa che non ha più bisogno della realtà per sostenersi e che dilatandosi finisce per fagocitare ogni cosa e per far perdere ogni valenza agli avvenimenti che suscitano la nostra indignazione.
C’è stato un periodo in cui da molte parti provenivano richiami alla nostra coscienza affinché ci indignassimo e non accettassimo passivamente le cose che eravamo costretti a subire, ma proprio in questo stava la differenza con il modo di indignarci di oggi. Allora, l’invito ad indignarci era anche un invito a partecipare, ad entrare nelle cose fino in fondo, e a lottare per cambiarle. Esso mirava a scuoterci per vincere la nostra apatia e la nostra indifferenza. Si trattava allora di un’indignazione virtuosa. Man mano però si è arrivati a perdere il senso della misura, non distinguendo le cose serie per le quali è giusto indignarsi e le stupidaggini che non giustificano un tale ri-sentimento. Siamo arrivati al punto di indignarci in maniera energica per un ponte, sia pure realizzato forse in maniera inopportuna (indignazione pretestuosa), per soprusi arbitrali (indignazione faziosa), per quanto avviene nei reality televisivi (indignazione demenziale), di indignarci in maniera violenta sui social (indignazione codarda), e di non farlo magari con la stessa foga o addirittura di rimanere impassibili di fronte a situazioni di sofferenza di tanta gente.
Spesso l’indignazione è eterodiretta, rappresenta il tentativo da parte di qualcuno, come i nostri politici, i nostri governanti, di dirigere il nostro sdegno verso le cose più disparate, onde evitare che la nostra attenzione e quindi la nostra indignazione si concentri e si riversi sul loro operato. Oggi se c’è una cosa che in Italia non scarseggia, questa è l’indignazione. Negli ultimi anni gli Italiani non hanno fatto altro che indignarsi, purtroppo però senza che questo abbia apportato un qualche minimo vantaggio al bene comune.
Il motivo di ciò potrebbe essere che questo modo di indignarci sottenda un certo nostro senso di estraneità per quello che avviene davanti ai nostri occhi, che provoca il sentimento di indignazione ma che non ci coinvolge più di tanto. E’ come se ci tirassimo fuori da quella situazione, ritenendo di avere già svolto il nostro ruolo di disapprovazione, con l’atto stesso di indignarci. Non capendo che dietro il rifiuto di qualcosa affinché esso abbia ripercussioni positive sulla realtà è necessaria una forma di partecipazione che richiede impegno, pazienza, ma soprattutto il desiderio per il bene comune. Oggi, l’indignazione viene usata spesso a sproposito e con finta partecipazione, finendo così per usurarla e quindi per privarla della sua vera funzione.
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